Marchionne, storia di un “capitano” che salvò la Fiat

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C’è una frase americana che dice: “quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare”. Questa frase fotografa perfettamente Marchionne e il suo ingresso in FIAT.

Egli nasce a Chieti nel 1952, città che lascerà a 14 anni per emigrare con la famiglia in Canada, dove si laureò prima in filosofia e poi in giurisprudenza, con all’attivo anche un’immancabile MBA. Tornò in Europa a lavorare solo nel 2002 come capo della svizzera SGS: grazie al suo veloce risanamento della società, fu notato da Umberto Agnelli e cooptato nel consiglio di amministrazione del gruppo Fiat, del quale divenne AD nel giugno 2004.

Ma perché Marchionne viene così esaltato nel mondo dell’auto, e non solo? Non c’erano già capitani d’azienda piuttosto bravi a condurre le corazzate automobilistiche nelle impervie acque del mercato? È salito agli onori delle cronache solo per i suoi meravigliosi maglioni (chi lo scrive però adora cravatte e accessori)?

Ovviamente non per quello: quando l’abruzzese si affacciò nel mondo dell’auto il settore si trovava in un periodo particolarmente complesso: la traballante FIAT era in buona compagnia, soprattutto negli anni immediatamente successivi, con le Big Three di Detroit (GM, Chrysler e Ford) che andarono col cappello in mano da Obama a chiedere aiuto per non soccombere ad una situazione finanziaria drammatica. Ma andiamo con ordine.

Marchionne arrivò al timone della FIAT quando questa versava in una situazione molto delicata e la sua organizzazione era burocraticamente ingessata, ma nonostante ciò egli riuscì in poco tempo a mettere in sicurezza la situazione, grazie anche alla famosa put option di Fiat Auto verso GM (nel 2000 Gianni Agnelli aveva siglato una partnership con GM, che includeva, purtroppo per gli americani, anche l’opzione da parte degli Agnelli di vendere in toto la Fiat ad essi): per non esercitare quella clausola, Marchionne e FIAT nel 2005 ricevettero da GM 2 mld di $ e quelli furono l’ossigeno necessario ad iniziare la ricrescita dell’azienda.

Nel 2009, con il beneplacito di Obama, Marchionne iniziò la scalata alla Chrysler, che diventò al 100% di FIAT nel 2014, quando fu creata la FCA (Fiat Chrysler Automobile): la grandezza dell’accordo sta nel fatto che una buona parte dell’azienda americana fu pagata solo condividendo le tecnologie di FIAT per i motori a basso consumo, prima tra tutte la Multiair. Un affarone, con buona pace dei suoi detrattori, che dicevano che la FIAT sarebbe diventata americana.

Negli anni la determinazione del manager, a tratti indispensabilmente rude, fece risalire la china all’azienda: il lancio della 500 nel 2007, Il rafforzamento del già brillante stabilimento di Melfi (dove tutt’oggi si producono le Jeep Renegade e Jeep Compass), la quotazione nel 2010 della CNH (Case New Holland, macchine agricole e movimento terra), il totale rimodernamento dello stabilimento di Pomigliano d’Arco, l’uscita da Confindustria, e soprattutto dal relativo patto con i sindacati, per negoziare contratti di lavoro più efficaci (e più remunerativi al raggiungimento dei target) sono solo alcune delle mosse che, grazie a Marchionne, hanno permesso a FIAT di ritornare ad essere un importante protagonista del mercato.

In tutto ciò, un altro suo importante successo è stata la guida e la formazione di John Elkann, il nipote che Gianni Agnelli aveva designato come suo successore: guardando ai risultati conseguiti da Elkann, anche in quello Marchionne ha avuto successo.

Sempre all’opera, lavorando incessantemente anche durate i continui spostamenti aerei tra Torino e Detroit, perseguiva costantemente risultati sempre più elevati: per lui il minimo numero di vetture da produrre per avere un business ragionevolmente profittevole era pari a 6 milioni, perciò doveva cercare un partner alla FCA per farle raggiungere quella dimensione. Provò a comprare la Opel, ma il governo tedesco si mise di traverso (poi però la Merkel è stata costretta ad accettare la svendita al gruppo PSA…), provò anche a fare avances per acquistare tutta la GM, ma il CEO Mary Barra al riguardo non accettò nemmeno di incontrarlo.

Purtroppo nell’estate del 2018, quando si stavano gettando le basi per una fusione con uno dei due gruppi transalpini (il primo ad essere considerato fu il gruppo Renault, solo successivamente ci furono contatti con PSA), Marchionne ha lasciato prematuramente questo mondo, probabilmente per colpa delle sue innumerevoli e inseparabili sigarette.

La bravura del manager comunque è stata dimostrata anche in modo postumo: grazie alle solide basi della FCA (e di John Elkann), la negoziazione per la fusione con PSA è stata un successo e oggi il gruppo Stellantis (di cui Elkann è presidente) guarda avanti in modo ancor più solido che le due singole entità FCA e PSA. A conferma di ciò, qualche giorno fa sono stati resi noti i risultati finanziari dell’azienda relativi all’anno 2021, che vedono un margine operativo dell’11,8%: più del doppio delle altre Case generaliste!

Marchionne è stato una grossa perdita per il mondo economico-finanziario, ma lo è stato anche per l’umanità: ha donato tante perle di saggezza durante i suoi innumerevoli interventi pubblici, soprattutto davanti agli studenti in occasione dei conferimenti delle sue lauree honoris causa. Una su tutte: “L’Italia è un paese che deve imparare a volersi bene, deve riconquistare un senso di nazione”.

Marchionne partì dall’Abruzzo: una terra operosa, generosa e un po’ rude, ben rappresentata da questo grande uomo che gli americani chiamavano “Serghio”…

Gerardo Altieri

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