
Il nostro immancabile mezzo di trasporto privato a quattro ruote ha conosciuto durante la sua vita dei cambiamenti molto importanti in termini di processi produttivi: tali cambiamenti non sono sempre stati dettati dalla voglia di massimizzare i soli profitti, ma anche dal ridurre il carico materiale di lavoro delle maestranze, soprattutto relativamente alle operazioni più gravose, oppure per migliorare la qualità finale dei prodotti. Ma andiamo con ordine.
Alla fine del XIX° secolo le prime vetture che circolavano in Europa erano basate fondamentalmente sulla scocca delle carrozze e solamente acquistate dalla fascia più alta della popolazione, dato il costo molto elevato. Nel frattempo anche oltreoceano si sviluppava l’industria automobilistica, ma la vera svolta la si ebbe con la Ford T che, per espresso volere di Henry Ford, doveva essere un bene acquistabile da tutti: è sua la frase “c’è vero progresso solo quando i vantaggi di una tecnologia diventano per tutti”. Così nel 1908 nacque questa vettura, che costava molto di meno di quelle già sul mercato, grazie soprattutto all’introduzione di un concetto sino ad allora inesistente: la catena di montaggio. Con questo rivoluzionario processo produttivo la vettura costava l’equivalente di 3.000 $ attuali e venne venduta in 15 milioni di esemplari in meno di 20 anni (e con la prima guerra mondiale a complicare le cose…). In Europa nel frattempo si volle emulare ciò che era stato fatto a Detroit e nacquero la Fiat Topolino (1936) e la Volkswagen Maggiolino (1938), anche se costavano, in proporzione, più della Ford (e il potere d’acquisto degli operai in Europa era più basso che in USA). Per inciso, la produzione delle berline di alto rango continuava per conto proprio in modo ancora abbastanza artigianale: ciò permetteva però l’estrema personalizzazione della carrozzeria e degli interni, cosa che sulla catena di montaggio era quasi impossibile: considerate che le Ford T per molti anni si potevano acquistare solo nere, non perché fossero verniciate di quel colore, ma perché era il colore della lamiera di base della carrozzeria…
Dopo la seconda guerra mondiale le catene di montaggio erano ormai presenti in tutte le fabbriche automobilistiche: grazie al costo delle vetture relativamente limitato (e ai pacchi di cambiali che si firmavano in concessionaria) ciò permise la motorizzazione di tante nazioni. Questa forma di mobilità divenne perciò sempre più a buon mercato e le persone acquisirono un senso di libertà prima precluso ai più. Negli anni ’60 iniziò la produzione in grande serie anche in Giappone e questo comportò una seconda rivoluzione produttiva, questa volta senza l’installazione di nuovi apparati meccanici, ma introducendo una nuova forma mentis. I processi produttivi, pur rimanendo economici, diventavano incentrati sulla qualità del prodotto: le vetture del Sol Levante, dapprima spartane, poi via via sempre più al passo di quelle europee e americane, avevano così un costo contenuto e una qualità più elevata della concorrenza. Era l’inizio dell’applicazione della filosofia Kaizen, cioè il miglioramento continuo per piccoli passi (a volte accompagnato dal Kairio, un salto importante una tantum).
Nel frattempo si era persa per strada la rigidezza della produzione in catena produttiva e una terza rivoluzione è avvenuta nei cicli produttivi all’inizio degli anni ‘70: l’avvento dei robot per i lavori più gravosi o pericolosi. Sì è iniziato in Giappone e poi a seguire nel resto del mondo occidentale: i tempi di produzione scesero ulteriormente, la qualità si incrementò e, soprattutto, non c’è stata la scomparsa delle tute blu dalle fabbriche, scenario disegnato da una certa parte di sindacalisti e politici profeti di sventura. Anzi: con la diminuzione ulteriore dei costi, è stato possibile investire in nuove tecnologie dedicate all’incremento della sicurezza di utilizzo delle vetture. È proprio in quel periodo che è iniziato lo sviluppo dell’ABS, dell’airbag, dell’ESP, della cellula dell’abitacolo a deformazione programmata in caso di incidente, ecc.
Nell’ultimo decennio invece è partita quella che io ritengo essere la quarta rivoluzione, il cui il leit motiv è la pianificazione della produzione di vetture elettriche: parlo di pianificazione perché ad oggi la produzione in grande serie non è ancora partita per tutti gli attori sul mercato. Perché questa è una ulteriore rivoluzione? Perché in questo caso i pezzi che compongono l’automobile sono estremamente più semplici (e in numero inferiore): il grosso valore aggiunto diventa il software di gestione dei motori e, soprattutto, delle batterie e della guida autonoma. In altre occasioni ho affrontato questo argomento, a volte controverso: rimanendo nell’ambito produttivo, è qui che ci saranno i cambiamenti più grossi, perché le produzioni diverranno relativamente più facili che in passato e ciò permetterà l’ingresso sul mercato di attori che non hanno importanti esperienze produttive pregresse (primi tra tutti i cinesi, che non hanno esattamente la nostra stessa sensibilità ecologica e sociale…). Addirittura ci sono aziende non automotive che propongono pianali dotati di batteria, sui quali poi l’azienda acquirente può costruirci sopra la macchina che più gli aggrada: in pratica il modo di riprodurre i laptop o i desktop. Da appassionato petrol guy, se fossi un poeta dialettale romanesco direi che questa cosa “nun se po’ proprio sentì!”.
Quello che mi chiedo è che forma avrà la prossima rivoluzione di produzione dell’automotive: magari inizieremo a produrre elicotteri su ruote? Oppure verrà inventato il teletrasporto e semplicemente le automobili si estingueranno (per me un incubo!!!)…
Gerardo Altieri