Le bellezze dell’Italia ed il confronto oggi tra l’arte classica ed i graffiti tra mura e strade

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L’Italia ha un patrimonio artistico ed architettonico di inestimabile valore al punto da registrare una quantità di opere d’arte pari ai 5/6 di tutte le espressioni artistiche così definite e catalogate che esistono sul pianeta.

Ciò vuol dire che Francia, Spagna, Germania, Messico, Turchia, Egitto, Cina, Tailandia, Gran Bretagna, Austria solo per elencare alcune nazioni che sicuramente custodiscono patrimoni artistici, se si mettessero insieme, avrebbero la possibilità di custodire il restante sesto.

Basterebbe questo dato per rendere ogni cittadino di questa nazione, che non a caso viene definito “il Belpaese” , orgoglioso di risiedere in un luogo che è stato culla di civiltà da tempo immemorabile, dove hanno abitato popolazioni che hanno lasciato il segno, salvo poi estinguersi o mescolarsi con gli abitatori che sono a loro succeduti: gli etruschi ed i fenici, solo per indicarne due tra le più importanti.

Ci si dovrebbe chiedere: perché poi questo Paese così prolifico di opere d’arte, non ha continuato in questa florida “produzione” anche nei tempi a noi prossimi?

Sono cambiati molti aspetti e, se vogliamo dirla tutta, in effetti l’Italia dal 1950/60 in poi è andata “imbruttendosi”: la seconda guerra mondiale ha lasciato un Paese impoverito e poco attento al suo imponente patrimonio in opere d’arte. Erano tempi in cui si è pensato di “dare spazio” ad una ricostruzione che fosse efficiente, quasi che l’estetica come elemento aggiuntivo rappresentasse un “fronzolo” di cui non tener conto.  Sono stati quelli i periodi caratterizzati dalla costruzione di sconfinate periferie, delle edificazioni di “casermoni” in cui venivano ospitate molte famiglie in piccoli appartamenti, dotati di servizi essenziali e con facciate spesso grigie o comunque dai colori spenti.

È stato quello il momento in cui sono sorti i “graffitari”, cioè soggetti che avvertivano il bisogno di rendere più allegre o comunque meno tetre quelle città- satelliti dei grandi centri come Roma, Milano, Torino, Genova, Palermo che non somigliavano ai centri storici delle medesime città che erano andati costruendosi e perfezionandosi, rendendo fra loro complementari stili di civiltà diverse.

Il graffite o comunque il disegno su un muro non va demonizzato, né deplorato: si tratta di una risposta “allegra e creativa” che nasce da una domanda imperiosa, forse non espressa, da parte degli abitanti di luoghi tristi che desiderano instillare brio e spensieratezza in superfici davvero deprimenti.

Ciò che, al contrario, vanno considerate autentiche brutture, sono i “ghirigori” spruzzati qua e là su mura storiche, sulle pareti esterne di palazzi ben fatti e di buon gusto, che hanno il solo intento di insozzare, che nascondono rabbia o forse invidia sociale contro chi può permettersi abitazioni di lusso o comunque palazzi che hanno scritto la storia di quella città.

Si tratta comunque di un problema annoso lungi dall’essere risolto, che complessivamente denuncia un vuoto di proposte da parte delle istituzioni da rivolgere ai graffitari, perché cooperino alle bellezze delle città e non alla deturpazione delle stesse.

Anche se la “regolamentazione di un graffite studiato dall’alto” presenta le sue contraddizioni in quanto una parte di quei writers considera le proprie scritte o disegni sui muri come un linguaggio di protesta e comunque una comunicazione anti-sistema.

Ernesto Albanello

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