La storia dell’editoria inizia nei monasteri. Nell’Alto Medioevo, infatti, molto prima dell’invenzione della stampa, la produzione di libri era già in gran fermento, soprattutto grazie all’importazione della carta in Europa dai paesi medio orientali e alla produzione monastica. In ogni monastero c’era uno Scriptorium, un luogo esclusivamente adibito alla trascrizione dei testi sia sacri che profani. Le copie di tali testi erano i cosiddetti Codici ed è grazie alla trascrizione a mano e al lavoro di archiviazione che compirono i monaci amanuensi che i grandi classici latini e greci sono giunti sino ai giorni nostri.
Successivamente, nel Basso Medioevo, il processo della trasmissione dei libri si affinò ulteriormente. Da una scrittura spesso difficile da leggere, corredata di miniature di grande valore ma di ancor più difficile comprensione, si passò alla scrittura carolina, uno stile creato per l’appunto durante il regno di Carlo Magno tra l’VIII ed il IX secolo che facilitò sia la scrittura che la lettura dei testi. L’introduzione di questo tipo di scrittura fu di enorme importanza, poiché semplificò di molto il lavoro dei monaci amanuensi.
Oltre a queste innovazioni nello stile di scrittura, un altro fenomeno influì positivamente sulla trascrizione dei codici. Non solo i monasteri, ma anche le università diventarono mano a mano centri di trascrizione di codici per la maggior parte di carattere non religioso. L’avvento della stampa si colloca così in un contesto molto più evoluto di quello che si potrebbe pensare. La stampa a caratteri mobili dovrebbe essere stata inventata dal cinese Bi Sheng intorno al 1400 in Asia, gli storici hanno pareri discordanti a riguardo. Gutenberg affinò poi la tecnica approssimativamente nello stesso periodo con l’invenzione di una nuova lega con la quale mise a punto una matrice molto più precisa delle precedenti. Il libro più famoso stampato da Gutenberg fu ovviamente la Bibbia, che fu riprodotto la prima volta in centottanta copie Non possiamo pensare a Gutenberg come ad vero e proprio un editore, ma di certo ne è l’antenato. Alcuni precursori dell’editoria operavano a Venezia intorno alla metà del 1400. Non solo stampavano libri, ma si occupavano anche di preparare il manoscritto nel suo complesso prima di mandarlo nelle proprie tipografie. Erano Aldo Manuzio e Nicolò d’Aristotele, i primi veri editori così come li intendiamo oggi, fecero la loro comparsa in Europa nell’arco di una cinquantina di anni dal 1789 circa in poi. La storia dell’editoria è, infatti, un capitolo che appartiene all’età contemporanea.
La tipografia è la tecnologia per produrre testi stampati usando matrici in rilievo composte da caratteri mobili e da cliché inchiostrati. Per estensione, indica anche l’officina in cui tale attività viene esplicata, e l’attività artigianale o industriale connessa. L’attività tipografica si dispiega nell’esercizio di varie operazioni, come ad esempio: il disegno dei caratteri tipografici; l’impaginazione dei caratteri sulla pagina; la stampa del supporto (carta, cartone, pergamena); il confezionamento dei supporti stampati nel formato e veste finale di utilizzo: foglietti, blocchi, libri, calendari, manifesti. Queste richiedono competenze non banali e scelte che possono essere assai impegnative sul piano estetico-contenutistico, tanto da giustificare il termine di arte tipografica. Quando il nome del monaco Martin Lutero emerge dall’oscurità e diviene famoso in tutta la Germania grazie alle 95 Tesi di Wittenberg, l’arte della stampa è relativamente giovane, essendo stata inventata circa settant’anni prima, nel 1455. Eppure, in quel determinato momento storico, ha luogo uno sviluppo eccezionale costituito dal passaggio dalla fase detta degli «incunaboli», in cui la stampa è ancora in fasce, nella culla, appunto, a quella che si potrebbe definire «l’età adulta»: l’epoca degli incunaboli ha dunque come confine la soglia del 1500.La stampa, detta ars artificialiter scribendi, modellandosi rigorosamente sul ductus degli amanuensi, appare come un manoscritto, ma più preciso e chiaro, dunque maggiormente leggibile: presenta inoltre l’incredibile vantaggio di moltiplicare rapidamente le copie di un testo, producendole tutte perfettamente uguali, compresi gli errori corretti invece inizialmente a mano su ogni singolo esemplare. Il costo di ogni libro, infine, diminuisce in proporzione al numero di copie stampate e il testo diviene in tal modo accessibile ai più. Dopo il 1500, gli editori, che sono nello stesso tempo anche tipografi, apportano dei perfezionamenti alla nuova tecnica, migliorando l’aspetto esteriore del libro, a partire dal frontespizio, in cui inizia ad apparire regolarmente, oltre al titolo e all’indicazione dell’autore, il luogo di stampa, il nome del tipografo, il suo indirizzo; in calce al frontespizio viene stampato lo stemma del tipografo cui si aggiunge, nell’ultima pagina a stampa, il colophon, dove si indica la data della conclusione del libro e altre caratteristiche. Recenti studi hanno dimostrato come il passaggio tra l’epoca degli incunaboli e la stampa vera e propria non vada datato al cambio di secolo ma vada posto intorno al 1520, anzi forse qualche anno prima, rivestendo una durata di circa una ventina d’anni. Insomma, la stampa entra nella sua età adulta proprio contemporaneamente alla nascita della Riforma. Tale successo è legato allo sviluppo geografico dell’arte della stampa in tutto il mondo tedesco. Lutero stesso rimane meravigliato di una così veloce diffusione, che egli stesso non aveva né cercato né sollecitato, al punto da sorprendersi della veloce diffusione in soli 14 giorni delle Tesi in tutta la Germania. E’ stata la Riforma che ha portato al successo l’arte della stampa oppure è stata la stampa che ha provocato l’affermazione della Riforma? In altre parole, si tratta di indagare quale influsso abbia esercitato la stampa sulla diffusione delle nuove idee, sulla circolazione dei libri stampati, sull’interesse per la lettura; o viceversa, quale impulso abbia dato la Riforma all’incremento dei lettori, alla diffusione e alla conoscenza della Bibbia, al moltiplicarsi dei libri di canto e dei catechismi, e in particolare alla divulgazione dell’epistolario paolino. Quale ne è la causa? in realtà il problema risulta ben più complesso, sia perché è necessario fare riferimento alla storia del libro, sia perché occorre includervi una serie di fattori che caratterizzano il mondo moderno. La società sta cambiando. Fino al Medioevo inoltrato il mondo aveva una sua compagine che si sarebbe potuta definire «unitaria»: c’era la Chiesa con il papa, i vescovi, i fedeli, una precisa gerarchia, dove l’imperatore, i re, i governanti avevano un ruolo definito e una funzione chiara, costituendo un punto di riferimento. Con il mondo moderno, tale gerarchia è messa in discussione, sia per l’affermarsi degli stati nazionali, sia per i nuovi rapporti che vengono a crearsi nella società. Tra gli uomini ogni forma di gerarchia inizia ad essere mal tollerata, perché tutti hanno la stessa dignità. Per la prima volta si asserisce che il potere appartiene a cittadini depositari dell’autorità. In tale contesto, emerge sempre di più l’arte della stampa. L’ars impressoria suscita un tale stupore da essere chiamata l’ars prope divina per i suoi meravigliosi prodigi. Si stampano i libri di sicura commerciabilità. Il successo della stampa nasce da creatività e da iniziativa commerciale. All’inizio del mondo moderno, i centri culturali non sono più le università, ma piuttosto le tipografie e le case degli editori. Costoro sono orgogliosi del loro successo, come si può dedurre dai colophon in calce ai libri stampati, dove è evidente il valore sociale e culturale della loro arte. In qualsiasi modo si denota un cambiamento radicale del modo di essere, di pensare e di vivere. Con una conseguenza fondamentale: prima il baricentro della società e del mondo era Dio, e quindi la Chiesa, il papa o l’imperatore. Ora il baricentro è l’uomo; è la persona, l’individuo, la coscienza, il soggetto che agisce e si afferma. Si tratta di un mutamento antropologico radicale. L’uomo diviene centro del mondo. Ma occorre innanzitutto mettere a fuoco alcuni dati ed eventi: la diffusione della Bibbia e quel fenomeno che esplode intorno al passaggio del secolo, dove si producono un numero rilevante di edizioni dell’epistolario paolino. Da parte degli editori e dei tipografi, si è già affermato un preciso criterio da seguire riguardo ai libri da stampare: si scelgono e si pubblicano le opere che sono richieste, che incontrano i gusti del pubblico e soprattutto degli umanisti e intellettuali. Insomma si stampano le opere che si è sicuri di vendere. I prezzi, per effetto del mercato che si amplia, diminuiscono. I dati numerici indicano chiaramente non solo la crescita quantitativa di alcuni libri a stampa, ma anche l’indirizzo e la qualità di tale crescita. Si dà pure una seconda novità assoluta per ciò che riguarda la Bibbia: fino ad allora la Bibbia era un solo volume, con Antico e Nuovo Testamento uniti inseparabilmente. Erasmo stampa il Nuovo Testamento senza l’Antico. nel 1513 il monaco Martin Lutero inizia le sue lezioni di esegesi biblica, è dotato di una piccola tipografia. Lutero fa stampare il testo biblico con due particolarità: la pagina deve avere larghi spazi tra una riga e l’altra e ampi margini ai lati; in tal modo, lo studente può annotare tra le righe le eventuali varianti e a margine può appuntare i commenti del docente La presenza della tipografia nel monastero non deve meravigliare si i tratta di un segno chiarissimo della larga diffusione della stampa all’inizio del Cinquecento. Si stima che in Europa a alla fine del secolo si contano 500 tipografie . Il fenomeno nuovo è quello dell’aumento dei lettori. Il libro non è fatto solo per essere venduto, ma per essere letto e ognuno di essi dovrebbe avere un potenziale lettore. In verità accade qualcosa di più: che un libro abbia più lettori, più persone coinvolte e interessate. Poi nascono i libri «da bisaccia, infine i libri da mano, perché si potevano tenere comodamente in mano. Ciò documenta anche il passaggio da una lettura pubblica, o liturgica, o corale, a una lettura personale, riflettuta, o comunque praticata in modo privato. Ecco il ruolo della nuova arte tipografica. Le Tesi universitarie sono richieste e i tipografi le stampano. I libri sono per lo più stampati in latino, ma dal 1520 in poi inizia la stampa in lingua volgare.
Quale sia l’influsso del libro sulla Riforma e quale invece quello della Riforma sulla stampa non è facile da identificare e le città di spicco per l’industria tipografica sono in Italia Venezia, che a un certo momento ha quasi 500 tipografi, Il successo di tali città è dato certamente dalla libertà di stampa e dal favore o dal sostegno attivo del potere locale, ma anche dalla disponibilità di qualche mecenate nei tempi difficili.
Non si deve dimenticare che nel Cinquecento, nonostante il forte impatto della stampa nella società, la comunicazione tra le persone è essenzialmente orale, e la trasmissione dei messaggi avviene con la parola e l’annuncio. Certo la stampa ha sostenuto il diffondersi della Riforma in Germania e in Europa, ma la Riforma ha dato il suo contributo notevole al successo della stampa.
Facciamo un salto nel tempo e arriviamo al 1843. Siamo negli Stati Uniti e Richard March Hoe inventa la prima rotativa della storia, perfezionata nel 1846 e brevettata nel 1847. All’inizio questo sistema di stampa era alimentato da fogli singoli poi, nel 1863, William Bullock introduce l’alimentazione a bobina: le immagini da stampare sono incurvate intorno a dei cilindri ruotanti. Non c’è più, quindi, una superficie piana che esercita la pressione per la stampa: ora la carta passa attraverso un cilindro che esercita una pressione molto più potente. Grazie alla meccanizzazione del processo e all’introduzione delle bobine, la macchina rotativa stampa fino a ottomila copie all’ora. Possiamo per questo definirla la prima macchina tipografica per grandi tirature. Quindi, come gia’ detto, nel corso dell’Ottocento, il ruolo e le caratteristiche della stampa e del giornalismo mutano profondamente. Si tratta d un lungo e travagliato processo di cambiamento ed evoluzione, accompagnato ovunque dalla crescita del numero delle testate e dalla diversificazione delle stesse, dall’aumento delle copie vendute e dalla moltiplicazione continua del numero dei lettori. Un’evoluzione che segue i ritmi dell’espansione dei consumi e dei mercati, assecondando le necessità della lotta politico-sociale e dell’economia capitalistica.
In generale, anche se la situazione andrebbe colta nelle singole realtà nazionali europee, tale processo si può misurare partendo da una serie di indicatori: il grado di sviluppo dell’organizzazione industriale dell’azienda giornalistica, il miglioramento tecnologico della stampa e della sua diffusione, il quadro politico e gli spazi concessi alla libertà di stampa da parte del potere statale. A tali indicatori, direttamente attinenti la storia della stampa e del giornalismo, vanno aggiunti i fattori più generali dello sviluppo sociale, economico, culturale e politico dell’Europa ottocentesca.
In tutta Europa, passata l’ondata rivoluzionaria e i fasti imperiali di Napoleone, i governi tentano di ostacolare e di controllare lo sviluppo della stampa. In occasione dei cicli rivoluzionari europei del 1830 e del 1848 la stampa politica svolge un ruolo fondamentale. Si tratta infatti di rivoluzioni essenzialmente borghesi, ispirate ai principi del costituzionalismo e del liberismo, e sostenute da un giornalismo di opposizione. Dopo le rivoluzioni, nel periodo dei governi provvisori e delle assemblee costituenti, si proclamano i diritti, si riscrivono le regole e si attenua il controllo sulla stampa. Ma successivamente, con le restaurazioni, i colpi di Stato e le controrivoluzioni, si ritorna alla situazione precedente e addirittura la si aggrava, colpendo con la carcerazione gli editori e i giornalisti indicati come i responsabili dell’insurrezione e del malcontento popolare. La situazione, però, è destinata a cambiare. Nonostante le politiche repressive e restrittive della libertà di espressione, che hanno un’efficacia limitata a causa della stampa clandestina e dell’informazione prodotta all’estero dagli esuli, le classi dirigenti iniziano a comprendere e a utilizzare direttamente le grandi potenzialità del giornalismo. A fine secolo, il panorama della stampa politico europea si presenta estremamente ricco e variegato, sia pur in modo non uniforme. L’azienda giornalistica è diventata anch’essa un’industria e il motivo del profitto prevale nella conduzione dei giornali, grazie alle possibilità di aumentare il numero di copie vendute. In questa situazione l’autonomia della stampa e del giornalismo viene messa nuovamente in discussione. La grande industria e il mondo della finanza, infatti, controllano l’editoria ed esercitano un ruolo decisivo, contribuendo a determinare il consenso elettorale ed esigendo un giornalismo conforme ai loro interessi. Raccontando la storia della stampa italiana in senso moderno che inizia nell’età del Risorgimento e continua nei seguenti decenni dell’Unità. Ovviamente le prime gazzette appaiono già nel Seicento, costituendo però gli scritti oppure gli avvisi di forma breve non sistematica dedicati alla tematica locale o alle informazioni sulle corti estere. Nel Settecento spuntano i primi giornali che sono piuttosto traduzioni di periodici o quotidiani stranieri riservati agli argomenti letterari. Alla fine del secolo l’interesse dei giornali si sposta man mano verso la politica, nonché si cerca di dare la prima forma alle testate che talvolta non subisce grandi mutamenti fino ad oggi. I lettori dei primi giornali rappresentano soltanto i ceti più alti della società ed a causa della povertà generale, dell’analfabetismo della maggioranza della popolazione non prendono all’epoca la via del veloce sviluppo, rappresentando un bene poco accessibile, costoso e illeggibile. La situazione comincia lievemente a cambiare durante e dopo il Risorgimento a pari passo con la nascita della politica italiana e della rivoluzione industriale avvenuta più tardi rispetto agli altri paesi dell’Europa occidentale. Si può parlare dell’alba della stampa odierna, quando compaiono i titoli, di cui alcuni restano presenti fino ai nostri tempi, quando accresce dinamicamente il livello della loro tiratura, e quando pian piano aumenta il numero dei lettori grazie al prezzo più accessibile e alla modernizzazione della società. Da quei primi esordi il giornalismo italiano subisce molte trasformazioni conseguenti dai cambiamenti politico-sociali e culturali avvenuti in 150 anni della storia dell’Italia unita concludendo l’argomento con la sua versione attuale presente in Rete. Oggigiorno la stampa rientra in un più ampio contesto dei mezzi di comunicazione di massa che a loro volta hanno raggiunto il livello di diffusione nella società mai visto in precedenza. Nonostante che gli inizi del giornalismo si verifichino piuttosto modesti: bassa tiratura, un esiguo numero di lettori appartenenti esclusivamente all’élite, un alto costo della tipografia e il prezzo troppo elevato per la maggioranza dei cittadini, già a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento alcune testate del Nord d’Italia aumentano notevolmente la loro tiratura, aggiungono altre pagine rispetto alle quattro iniziali, arrivano a sempre più lettori. La vera e propria rivoluzione dei mass media sussegue alla seconda guerra mondiale, quando il miglioramento del livello di vita per la società e lo sviluppo generale permettono il loro successo e l’entrata in quasi tutte le case italiane. La stampa concorre all’epoca con la televisione e innanzi tutto coi telegiornali che in modo plausibile conquistano il mercato mediale. Vi si cercherà di presentare i tre periodi nella storia della stampa: gli anni dopo l’Unità fino al primo decennio del 900, il fascismo e il periodo dopoguerra con un particolare riguardo ai tempi presenti e alla scrittura online. Tale scelta è determinata soprattutto dalla necessità di brevità, quindi saranno focalizzate le caratteristiche principali dell’evoluzione giornalistica in Italia, nonché nella seconda parte i più spiccanti tratti lessicali e stilistici della scrittura giornalistica Studiando il linguaggio della stampa odierna non si può prescindere dai fattori di stampo linguistico tradizionali, nonché dagli eventi storici che hanno sempre influenzato i contenuti e la loro forma presentati al pubblico. La storia del giornalismo italiano procede effettivamente a pari passo con lo sviluppo del nuovo paese, perciò all’inizio del presente articolo si tenterà di abbozzare la realtà politico-sociale dei più importanti periodi dalla nascita dello stato italiano, attraverso il trasformismo, il fascismo al dopoguerra e alla costituzione dell’Italia democratica. Tale resoconto del quadro storico permetterà di mostrare successivamente l’evoluzione del linguaggio giornalistico e i suoi punti più significativi. Al momento dell’unificazione l’Italia deve affrontare i problemi di natura politico-sociale che superano le capacità delle classi dirigenti. La maggior parte dello stato non aveva in precedenza alcun’esperienza di natura democratica, manca non soltanto l’educazione politico-sociale, ma soprattutto quella scolastica. Il basso tenore di vita costituisce la causa principale dell’analfabetismo che si concentra nell’Italia meridionale. L’Italia unita è un paese agricolo, povero, dove inizialmente su 22 milioni di abitanti 400 mila godeva del diritto al voto (J. A. Gierowski 1999: 413). Le riforme proposte da parte di Garibaldi e di Mazzini sono abbandonate al momento dell’unificazione. Le divergenze fra il Settetrione e il Meridione paiono insormontabili, visto che i nuovi regolamenti vengono introdotti al Sud con forza, anziché con l’educazione e la modernizzazione che richiederebbero più tempo. Il Nord d’Italia più industralizzato, più europeo rappresenta per la popolazione meridionale un nuovo potere non differente da quelli precedenti, le regioni meridionali restano arretrate in ogni settore della vita politico-sociale e culturale. In tali circostanze nascono i più importanti quotidiani italiani, soprattutto nei grandi centri come Milano, Torino e Roma, solo lì trovano il pubblico che comunque costituisce il 2% di tutti i cittadini. All’origine della nascita delle prime testate stanno i grandi interessi economici e le lotte politiche. L’industrializzazione della stampa sussegue allo sviluppo industriale dell’Italia e comporta l’entrata nel campo editoriale dei gruppi capitalistici più potenti, il che ostacola una gestione professionale e del tutto libera. Alla fina dell’800 iniziano ad uscire i giornali di cui la maggioranza si è mantenuta fino ad oggi: a Milano nel 1876 “Il Corriere della Sera” di stampo conservatore-moderato, a Torino nel 1895 “La Stampa”, originariamente “La Gazzetta Piemontese”, a Roma “L’Osservatore Romano” nel 1845 e nel 1861 come quotidiano, nel 1859 “La Nazione”, nel 1866 “Il Secolo” di carattere democratico, nel 1878 a Roma “Il Messaggero”, anche a Roma “Il Giornale d’Italia” del 1901 e infine nel 1896 il primo giornale impegnato nella lotta politica “L’Avanti” che appartiene direttamente al partito socialista. A prescindere dall’ultimo la maggioranza delle testate tenta di attirare i possibili lettori, presentando in maniera sempre più tempesteva le notizie nazionali e internazionali grazie alla catena di giornalisti mantenuti nei più importanti centri italiani ed europei, nonché dichiarandosi indipendenti da qualsiasi potere il cui obiettivo è soprattutto informare. La verità era ben diversa, come si è già accennato prima i proprietari dei titoli derivano dalle classi abbienti del Nord d’Italia e restano in un forte collegamento con i potenti gruppi capitalistici, i quali cercano innanzitutto di promuovere i propri interessi economici. 212 MARTA KALISKA Questi grandi giornali della fine dell’800 conquistano pia piano il mercato Questi grandi giornali della fine dell’800 conquistano pia piano il mercato e cominciano a dominare sulla stampa regionale. Ispirandosi ai modelli anglosassoni il caporedattore del “Corriere” Luigi Albertini intraprende le nuove attività intorno al quotidiano, ogni due settimane escono due appendici, un mensile sui più importanti eventi e problemi socio –economici e politici. La stampa della fine dell’800 dà sempre maggior peso alla figura del giornalista anonimo, del redattore professionista, piuttosto che ai personaggi di spicco i quali propongono una scrittura di carattere più soggettivo e letterario, fermo restando che il contributo di questi ultimi allo sviluppo della stampa sia di grande valore e non si può prescindere dai cognomi come Croce, Oriani, De Amicis, D’Annunzio, Scarfoglio, Serao (Bonomi 2002: 16) che hanno partecipato alla nascita dello stile giornalistico in quell’epoca. Comunque, i letterati assistono pian piano alla redazione della terza pagina. Nella seconda metà dell’Ottocento, rispetto agli anni preunitari, la stampa inizia a svolgere il ruolo del mezzo di comunicazione di massa, benché allora i lettori costituiscano una modesta percentuale della società. La tiratura dei primi quotidiani cresce rapidamente: due quotidiani milanesi il “Corriere della Sera” e “Il Secolo” vendono decine di migliaia di copie ogni giorno, raggiungendo negli ultimi anni del secolo 200 000 copie per quanto riguarda il primo titolo e 100 000 copie per il secondo (Castronovo 1979: 111-143). Perfino il quotidiano del partito socialista “Avanti”, sostenuto dai lettori militanti riesce ad aumentare la tiratura da 40 000 a 400 000 in giro di 15 anni. Vi si nota una forte espansione dei giornali e la conquista di sempre maggior numero di lettori il che, secondo Serianni è dovuto innanzi tutto alla progressiva estensione del diritto di voto “e quindi allargamento della fascia d’utenza” (Serianni 1990: 28); allo sviluppo della pubblicità che con la crescente frequenza spunta sulle pagine (nel periodo precedente la sua presenza all’interno dei giornali era molto limitata e poco significativa). Serianni evidenzia anche l’importanza della comparsa di alcune innovazioni tecnologiche nell’ambito della tipografia e della comunicazione a distanza. Il telegrafo e di seguito il telefono facilitano il passaggio dell’informazione dagli inviati speciali alla redazione. Pian piano svaniscono le difficoltà relative ai lunghi tempi necessari per comunicare una notizia dall’estero o da altre regioni italiane. Per quanto rigurda la fotografia, i quotidiani la introducono in maniera regolare soltanto alla fine del primo decennio del 900. Prima viene adoperata in base al modello francese l’illustrazione (il primo a inserirla in prima pagina al fine di richiamare l’attenzione del lettore è “Il Secolo” nel 1869). Vanno notati anche i cambiamenti nei caratteri iconografici: titoli su più colonne, la loro esposizione in grassetto, tutti imezzi asserviti al suddetto scopo. In quel periodo le notizie politiche ed economiche che occupano il maggior spazio vengono sempre più frequentemente accompagnate dai temi di interesse comune, vi compare non soltanto la cronaca locale e quella sportiva, ma anche rubrica dedicata all’intrattenimento, di conseguenza si osserva un aumento del volume di pagine da quattro iniziali a sei oppure a otto su sei colonne che negli anni preunitari erano due o tre. Maurizio Dardano nota comunque un importante fattore che gioverà in futuro sul giornalismo italiano, ossia “la tendenza a far prevalere il commento sull’esposizione dei fatti […] che distingue la nostra stampa da quella anglosassone” (Dardano 1973: 10). Il successo e il rapido sviluppo della stampa a cavallo tra i due secoli comprova soprattutto i cambiamenti sociali avvenuti all’interno della popolazione italiana. Il numero dei lettori in un continuo aumento, benché al solito provenienti dai grandi centri industriali, dimostra una diminuzione dell’analfabetismo che secondo le statistiche è sceso del 35% rispetto al 1861 (Serianni 1990: 15). Tuttavia la geografia giornalistica rispecchia un altro fenomeno tipicamente itliano: la spaccatura tra il Nord industrializzato e il Sud agricolo, o meglio precisare tra i grandi centri come Milano, Torino, Genova, Roma, Firenze e Napoli e il resto d’Italia. Tale suddivisione ha gravemente ostacolato la diffusione della stampa originaria di Milano o di Torino a livello nazionale. Il giornalismo proposto, essendo piuttosto agganciato ai modelli esteri del Nord d’Europa, per lo più a quello francese e anglosassone, resta estraneo alla maggioranza degli abitanti del Meridione, il che costituisce un’importante testimonianza dell’esistenza di due culture divergenti all’interno della medesima nazione. La lingua della stampaall’inizio del 900 Nel presente brano il discorso sulla lingua sarà innanzi tutto dedicato alla presentazione dei più importanti caratteri dello stile giornalistico specifico per gli anni a cavallo tra due secoli. Come esempio di tale scrittura vi si riporterà un brano tratto dalla “Stampa” dall’archivio storico disponibile online. Sulla base del frammento e delle analisi dei linguisti italiani si tenterà di evidenziare ciò che costituisce lo stile dell’epoca e le più rilevanti componenti lessicali, stilistici e sintattici. Per Serianni la lingua della fine dell’800 si rivela molto eterogenea, titubante per quanto riguarda il piano fonologico e morfologico influenzato ancora dalla spontaneità dei giornalisti. Comunque sia la lingua rientra pienamente nel contesto dell’italiano letterario tradizionale (Serianni 1990: 30; Scavuzzo 1988: 7). Gli usi lessicali dipendono dalla rubrica di riferimento e dal sottocodice adoperato conforme al tema dell’articolo. La presenza di tanti tecnicismi di stampo burocratico e politico si nota nei testi dedicati alla tematica ufficiale oppure alle relazioni degli avvenimenti politici, i tecnicismi giuridici in quelli che riportano ad esempio i fatti di processi. Serianni sottolinea le difficoltà dei redattori conseguenti dalla scarsa padronanza di cosidetta lingua media dell’epoca, nonché dalle necessità tecniche di brevità e rapidità nella stesura dei testi giornalistici, perciò all’interno di diversi articoli si intrecciano le voci provenienti da svariati registri e sottocodici: vi compaiono occultismi, colloquialismi, tecnicismi, termini letterari, tutto ciò coperto da uno stile brillante: “un tratto tipico dello stile giornalistico è la presenza del «registro brillante» punteggiato di giochi di parole, arguzie, doppi sensi è ricorrente soprattutto nella cronaca locale”(Serianni 1990: 31) Va notato anche un frequente utilizzo di espressioni stereotipate e di frasi fatte che si estende nel tempo fino ad oggigiorno. Nella scrittura giornalistica l’inclinazione alla ripetizione risulta del tutto plausibile e risale in pratica agli inizi della stampa. Meno consueti si rivelano i dialettismi il cui uso si caratterizza di una certa spontaneità e dei giornalisti correlata con le loro competenze linguisti- LA STAMPA ITALIANA IERI E OGGI 215 che in italiano medio. Talvolta le voci del genere vengono adoperate ai fini ludici o espressivi in modo intenzionale. Risulta ancora poco frequente il ricorso alla metafora che si impone visibilmente nei nostri tempi. Bonomi constata che solo attorno al 1910 tale figura retorica inizia ad acquistare maggior valore (Bonomi 2002: 22). All’inizio del 900 spicca un nuovo fenomeno lessicale concernente il campo dei neologismi i quali nascono soprattutto nell’ambito politico. L’Italia unita deve affrontare vari problemi socio – economici del paese in cui coesistono diverse culture politiche dal punto di vista sociale e geografico. Il giornalismo italiano assieme alla nuova vita quasi democratica sorta dopo il Risorgimento richiede una terminologia adeguata per comunicare gli avvenimenti politici alla società. Vi pare consistente il campo lessicale legato alle lotte sindacali per i diritti degli operai di cui approfittano giornali più impegnati politicamente come ad esempio “L’Avanti” e “Il Secolo”. In quanto ai forestierismi, il loro utilizzo si rivela notevole per la scrittura giornalistica intorno al 1900, invece successivamente incomincia a calare, il che è dovuto alla progressiva perdita del valore di prestigio nell’italiano da parte dei prestiti fino all’avvento del fascismo, quando vengono del tutto messi al bando. Pare evidente dal punto di vista storico l’iniziale supremazia del francese che comunque diminuisce nel tempo a favore dell’inglese, benché all’epoca si possa parlare ancora della vincità della seconda lingua. I francesismi non concernono soltanto il campo della moda e del mondo dello spettacolo, bensì costituiscono un insieme di voci ed espressioni di lusso che godono dell’alto prestigio sociale. Gli anglicismi di quegli anni riguardano soprattutto la terminologia legata allo sport, alla politica e al settore economico (Bonomi 2002: 25). Va anche notato il mutamento dell’aspetto sintattico della scrittura giornalistica in questione che dopo l’arrivo delle innovazioni tecniche, come il telegrafo e di seguito il telefono, diviene più concisa e più breve. La lingua deve rispettare le regole dell’economia nella comunicazione per cui la struttura dei periodi risulta semplificata e segmentata, prevale l’ipotassi sulla paratassi. Proprio a quegli anni risale il fenomeno della riscrittura delle notizie fornite dalle agenzie senza alcuna redazione da parte dei giornalisti. È essenziale menzionare il ricorso alla frasi nominali che dominano oggigiorno. Come sottolinea Serianni il loro utilizzo si addensa soprattutto in alcune rubriche, come ad esempio resoconti teatrali e bollettini meteorologici (Serianni 1990: 35). Gli altri fenomeni che rientrano nella fenomenologia odierna dello stile giornalistico apparsi all’inizio del 900 sono particolarmente l’imperfetto cronistico adoperato nelle descrizioni, il presente nell’uso narrativo e il condizionale di dissociazione che serve ad esprimere l’insicurezza nella comunicazione dei fatti. Ciò che accomuna la sintassi della scrittura giornalistica dell’epoca alla lingua letteraria è per lo più il continuo impiego del passato remoto e dei pronomi 216 MARTA KALISKA enclitici, nonché la struttura sinattatica piuttosto complessa che comunque viene sempre più tralasciata. Secondo i linguisti la lingua giornalistica dell’epoca a cavallo tra due secoli risulta composita ed eterogenea. Domina uno stile elevato di stampo letterario punteggiata di tecnicismi, di componenti burocratiche e di forestierismi alla moda. La sfera innovativa del lessico concerne piuttosto la politica che richiede la descrizione di alcuni fenomeni sorti in Italia unita, come ad esempio la lotta sindacale. In quanto alla sintassi, a mano a mano si riduce il volume dei periodi complessi a favore delle frasi semplificate e dei testi segmentati stilati in base agli dispacci di agenzie. Viene sottolineato anche il crescente influsso del parlato, frequentemente di natura dialettale, utile soprattutto per attribuire una certa espressività al contenuto. Maurizio Dardano evidenzia ancora un tratto molto rilevante del giornalismo italiano, ossia la tendenza a commentare senza una netta distinzione tra il commento del giornalista e la descrizione dei fatti avvenuti il che rende meno trasparente il messaggio e rende possibile la manipolazione della realtà (Dardano 1973: 10). Tutti i suddetti fattori costituiscono lo stile brillante del giornalismo dell’epoca di cui si è gia parlato precedentemente e che si possono osservare nel seguente frammento tratto dalla “Stampa” del 11 maggio 1900 . A metà degli anni Venti con il delitto Matteotti la stampa viene in modo graduale sottoposta al regime fascista. Gli ultimi a cedere campo sono il “Corriere” e “La Stampa”. La politica di Mussonili pare trasparente quando nel 1928 il Duce definisce il ruolo della stampa italiana: “La Stampa più libera del mondo intero è la stampa italiana […] Il giornalismo italiano è libero perché serve soltanto una causa e un regime; è libero perché nell’ambito delle leggi del Regime, può esercitare, e le esercita, funzioni di controllo, di critica, di propulsione […]” (Bonomi 2002: 32) Ciò che caratterizza la stampa dell’epoca si rivela specifico per qualsiasi regime del XX secolo: la soppressione della libertà, la politica consistente nella sostituzione dei direttori e dei redattori disubbidienti alle autorità con il personale favorevoli alle nuove tendenze determina il cambio dell’aspetto di un tipico quotidiano dell’epoca. Alcuni giornali come “Il Popolo d’Italia”, “La Nazione” e “Il Mattino” paiono specialmente impegnati nell’esaltazione del nuovo regime. Si dilegua la differenza tra la notizia e il commento, a mano a mano si riducono le informazioni di cronaca nera che non rientrano nella legittima immagine del regime fascista. Nella anni Trenta fiorisce la terza pagina e la tematica legata all’intrattenimento (Bonomi 2002: 33). La retorica fascista approffitta del registro aulico, artificiale e sfarzoso, il contenuto informativo si disperde nella solenne e celebrativa descrizione dei fatti . Il periodo indicato inizia negli anni Cinquanta e Sessanta e dura fino ad oggi, perciò risulta estremamente difficile liiù importante mezzo della comunicazione di massa, però già a partire degli anni Cinquanta con l’avvento della televisione deve affrontare la situazione di concorrenza, adattandosi alle nuove circostanze. Ciò non riguarda soltanto l’entrata al mercato mediale dei mezzi audiovisuali, ma anche la crescente competitività tra varie testate. Il mondo della stampa diventa sempre più agressivo e mirato alla conquista di nuovi lettori. Ciò, purtroppo si ripercuote sulla qualità della lingua e dei contenuti informativi che al contrario sarebbe dovuta migliorare. I giornali dell’epoca precedente erano indirizzati piuttosto all’élite, ponendosi come obiettivo l’educazione e la promozione della lingua aulica ed elegante. Negli ultimi anni si assiste ad una popolarizzazione della stampa e degli altri mezzi di comunicazione che in Italia genera una forma ibrida ed eclettica della lingua con la mancante distinzione tra l’informazione di qualità e informazione popolare (Sorrentino 2002). Nella storia contemporanea mitare il materiale ai più importanti eventi e alle componenti fondamentali della scrittura giornalistica. Oggigiorno si può del tutto ammettere che non esista un giornale senza una versione disponibile in Rete. Al fine di mantenersi al mercato dei mezzi di comunicazione di massa ogni quotidiano deve essere presente online o avere addirittura la propria redazione web, vista la possibilità di aggiornare le notizie in tempo reale il che esige un’incessante stesura dei testi. Sono proprio i fattori, come la brevità, la velocità e la semplicità a determinare la forma testuale dell’informazione in cui la lingua svolge il ruolo di servizio nella comunicazione del genere. Un altro fattore essenziale per il giornalismo online è rappresentato dal fenomeno di ipertestualità, ossia il procedimento non lineare, prestabilito, bensì basato su continui rimandi e collegamenti ad altri contenuti di tipo testuale, visivo o sonoro. L’ipertestualità rientra in un ampio contesto della comunicazione mediata dal computer e nei nostri tempi segna una trasformazione non soltanto negli usi linguistici, ma per fino nella vita sociale.
L’avvento dell’Internet segna una notevole trasformazione della stampa, l’interesse generale si sposta verso la realtà virtuale e le nuove opportunità offerte dalla Rete che a sua volta richiede per motivi tecnici anche un adattamento linguistico. Odiernamente si può porre la domanda se l’evoluzione giornalistica porterà alla scomparsa della versione cartacea dei quotidiani i quali resteranno presenti soltanto nelle pagine web. Fin adesso, osservando talvolta il calo delle tirature, lo spostamento da parte di alcune testate della loro attività principale in Rete è possibile congetturare sul futuro. Tuttavia un’eventuale condanna della stampa tradizionale pare ancora precoce.
Maria Ragionieri