Come a volte mi succede sarò impopolare, ma credo che la sanità debba essere sempre più privata: è il modo più efficace per renderla più efficiente in termini di produttività e in termini di costi. E non accetto la replica relativa alla presunta accessibilità solo da parte di persone abbienti, perché nei fatti così non sarebbe (anche se oggi lo è) e vi spiego il perché.
Varie fonti (camera.it, quotidianosanita.it, ansa.it, ecc.) asseriscono che la spesa annua per il SSN si avvicina ai 130 miliardi di €, se a questi aggiungiamo circa 40 miliardi di sanità privata a pagamento, il tutto fa circa 170 miliardi, cioè quasi 3.000 € a cittadino. Ovviamente questa è la media del pollo di Trilussa, ma serve a capire di quali costi parliamo per ogni singolo cittadino.
Guardando al rapporto costi/livello di servizio offerto, le persone garbate direbbero che ci sono delle opportunità di miglioramento in termini di utilizzo dei fondi spesi, io che sono meno garbato dico che ci sono degli sprechi veri e propri che, fino a quando ci sarà gestione pubblica, non spariranno. Certo, ci sono delle splendide eccezioni, ma il livello medio non è sicuramente da antologia. Mi è ben chiaro inoltre che bisognerebbe approfondire le analisi per centro di costo (personale, prodotti farmaceutici, consumi diversi dai farmaci, farmaceutica convenzionata, assistenza medico-generica da convenzione, altre prestazioni sociali in natura da privato), ma per il ragionamento che condivido con voi, rimarrei sui macro numeri.
Se ogni cittadino venisse dotato di 3.000 € con il quale stipulare polizze di assicurazione sanitaria, il mercato in questione avrebbe molti più clienti e le proposte a disposizione sarebbero piuttosto ricche (sicuramente più di oggi, che con una platea di clienti ben più limitata ha dei costi specifici più elevati). Oggi il 25% degli italiani ha una polizza sanitaria integrativa (fonte assinews.it), ma se avessimo tutti a disposizione da parte dello Stato i 3.000 € di cui sopra, (esclusi magari coloro che hanno la polizza come benefit contrattuale – quadri e dirigenti d’azienda – e i nuclei familiari con reddito cumulato alto, ad es. oltre i 200.000 €), chiunque potrebbe usufruire di strutture sanitarie private, in cui gli sprechi sarebbero ben inferiori, se non completamente assenti rispetto alla groviera del SSN. Ovviamente tutto ciò si riverbererebbe positivamente sulla qualità del servizio, perché ci sarebbe sana concorrenza e noi potremmo scegliere dove essere clienti (sì, in quel caso lo saremmo), nè più nè meno di come si fa col parrucchiere, col ristorante, col supermercato, ecc.
E se qualche struttura sanitaria avesse pochi clienti? Sarebbe costretta a migliorare il servizio per attrarne altri, oppure sarebbe portata alla chiusura, esattamente come un ristorante dove non si mangi bene, oppure un supermercato che non offra il giusto rapporto qualità/prezzo, oppure un meccanico che non sia abbastanza veloce e capace di riparare le vetture. Vi risulta che un ospedale pubblico chiuda per scarsezza di qualità del servizio offerto? Vi risulta che un medico o un infermiere lavativo vengano licenziati in una qualunque struttura pubblica? Già non sarebbe facile in una privata, figuriamoci nel pubblico: d’altronde fino a quando la meritocrazia non avrà reale cittadinanza nell’apparato statale (vedi i premi a pioggia a chiunque), alternative migliori non ne vedo.
Come si fa con la medicina di territorio, laddove non ci fosse abbastanza concentrazione demografica tale da giustificare la presenza di strutture private in termini di conto economico? In questo caso entra in gioco la tecnologia e il PNRR: con i fondi europei dovremmo implementare la cosiddetta Urban Health, che si basa su Case della Comunità, il Medico di Medicina Generale, l’Infermiere di Famiglia e di Comunità. Insisto sull’aspetto gestionale privato: i professionisti del settore oggi non accettano di lavorare facilmente nell’ambito pubblico a causa di turni pesanti e di stipendi non elevati, ma con una gestione privata e una politica dei redditi meritocratica si otterrebbero dei risultati decisamente superiori.
Per ciò che riguarda la tecnologia, la teleassistenza e la telemedicina devono diventare quanto prima un patrimonio comune nazionale. Come recitano le linee di indirizzo nazionali della telemedicina, essa offre equità di accesso all’assistenza, migliore continuità delle cure, maggiore efficacia, efficienza e appropriatezza, contribuendo al contenimento della spesa (perciò alla salvaguardia del conto economico). La telemedicina è già una splendida realtà in varie nazioni europee, permette tele-visite, tele-consulti, tele-monitoraggi e tele-assistenza: essa consente risparmi di vari miliardi rispetto alla gestione “analogica” dell’assistenza sanitaria. Una interessante e fruibile sintesi la si trova su https://www.agendadigitale.eu/sanita/telemedicina-come-farla-in-italia-le-tecnologie-le-finalita-un-modello-possibile/.
Per concludere, sono poco fiducioso che l’iper-sindacalizzato e appiattito apparato sanitario statale possa velocemente ammodernarsi ed essere gestito con logiche dettate dall’efficienza, dalla produttività e dalla meritocrazia, logiche che governano le aziende private, incluse quelle in ambito sanitario. Detto ciò, credo che ci dovremmo indirizzare verso la privatizzazione dei servizi in questione, così da renderli decisamente più efficienti ed efficaci.
Questo discorso si può facilmente estendere ad es. alla scuola o ai servizi di trasporto pubblico. Un esempio: perché diamine nessuno a Roma si è mai degnato, in barba al Regolamento Europeo 1370/2007, di mettere a gara l’appalto dei trasporti pubblici urbani, per giunta in presenza di un assenteismo giornaliero medio nell’organico dell’ATAC pari al 18%?
Questa polemica però la conservo per i prossimi articoli…
Gerardo Altieri