
“Liberi liberi siamo noi, però liberi da che cosa” cantava Vasco Rossi in una famosissima canzone di qualche anno fa, ed io ci credevo, forse per la mia presunzione adolescenziale, o per un’utopica idea di libertà ed uguaglianza tra le persone. Poi sono cresciuto ed ho iniziato a guardare il mondo con occhi diversi.
Dipendenza e libertà personale sono temi di assoluta attualità, visto l’andamento socioculturale che ci sta attraversando. Quanto l’Uomo sia libero di scegliere ciò che più è in linea con la sua natura, è una domanda esistenziale ma ricca di variabili. E per uscire da quest’impasse la filosofia ci può essere d’aiuto. L’ideologia che domina l’ambito sociale oggi, cerca di aiutare le persone a diventare autonome, una qualità che è considerata importantissima nella nostra società dove i legami sembrano considerati costrizioni. Nella nostra società sembra che essere autonomi significhi semplicemente essere più forti, ma quando cerchiamo di rendere le persone meno deboli in realtà le mettiamo ancora più in difficoltà perché gli rimandiamo un’immagine svalutante di loro stessi. Considerando questa concezione non sorprende che stiamo creando una società del controllo e della padronanza che potrebbe essere chiamata “psicologia di un io forte”: non si cercano le cause dei comportamenti o le loro influenze, ma si vuole solo dominare (anche le proprie pulsioni) per i fini di una vita produttiva e utilitaristica. La dimensione di fragilità non è né una forza né una debolezza, ma una molteplicità. Vivere nella fragilità significa vivere in un rapporto di interdipendenza, in una rete di legami con altri. Legami che non sono fallimenti, ma possibilità di una vita condivisa. La libertà non finisce dove comincia quella dell’altro, ma anzi comincia dalla liberazione dell’altro, attraverso l’altro.
Ma la domanda è un’altra: possiamo scegliere davvero, ed essere così realmente liberi dai condizionamenti, o dobbiamo, nostro malgrado, lasciarci scegliere da qualcosa di più grande di noi, e invisibile? Per invisibile non intendo una qualsiasi forza esterna, divinità che dir si voglia, ma semplicemente un “grande fratello” che non possiamo vedere con i nostri occhi, ma controlla e guida ogni nostra decisione, scelta, desiderio. Così come George Orwell descriveva qualche decennio fa nel suo celebre romanzo “1984”, la realtà in cui viviamo oggi è un sistema che non comprendiamo più, e forse non l’abbiamo mai compreso. La fisiologica conseguenza, è che il nostro comportamento inizia ad essere guidato dall’incertezza: non ci sentiamo liberi di progettare il nostro futuro, che cosa faremo, chi diventeremo, quanto e cosa dovremo cambiare per vivere.
La precarietà, ci sollecita a reagire. In che modo? Producendo una serie di sostanze con effetti fisiologici e psicologici, funzionali alla sopravvivenza, come adrenalina, dopamina, serotonina, noradrenalina. Neurotrasmettitori che ci fanno pensare, ci guidano e ci controllano. Ma queste stesse sostanze giocano un ruolo importante anche nello sviluppo e nel mantenimento delle dipendenze, patologiche o meno. L’ignoto ci spaventa, tutto ciò che non riconosciamo ci spaventa, ci intimorisce: così ci difendiamo producendo stress.
“Ma tu di cosa ti fai?”: lo stress tra i fattori di rischio delle dipendenze.
Lo stress è un fattore di rischio per lo sviluppo delle dipendenze di qualsiasi tipo. Le dipendenze, che siano patologiche o anche livelli di gravità inferiore, sono condizioni di asservimento psicologico e fisico ad una sostanza o addirittura a dei comportamenti: si, perché possiamo tutti diventare dipendenti da un tipo particolare di comportamento disfunzionale che ci ingabbia in schemi di pensiero soffocanti e autolesivi. Le “New Addictions”, quelle virtuali, sono distruttive tanto quanto le dipendenze classiche da sostanze, come l’alcool, la nicotina, le medicine.
Gli eventi di vita stressanti combinati con la scarsa elasticità e adattamento alla vita – quella che viene definita “allostasi” in medicina funzionale – può influenzare il rischio di dipendenza aumentando così una risposta impulsiva, che si trasforma poi in un qualsiasi tipo di dipendenza.
La fisiologia dello stress.
E’ impossibile eliminare lo stress: anche se tutti lo desideriamo, non è possibile eliminarlo, ma possiamo trovare dei modi efficaci per gestirlo. Da un punto di vista biologico, alcuni eventi causano un aumento dei livelli ematici di ormoni dello stress, come il cortisolo, l’adrenalina, la serotonina, la noradrenalina che accendono la risposta di “lotta-fuga”, ovvero il modo in cui il cervello reagisce alla minaccia in modo da prepararsi all’azione.
Bisogna distinguere lo stress cronico da uno stato di normale eccitazione. E’ vero che alcune persone cercano situazioni “stressanti”, stimolanti, percepite come piacevoli e che promuovono il rilascio degli ormoni dello stress. Tuttavia, stressor intensi e prolungati come il conflitto interpersonale, producono un senso di impotenza appresa e sintomi simili a quelli depressivi.
Perchè dipendiamo da “qualcosa”?
La tranquillità ed il benessere che proviamo quando va tutto bene stimola la secrezione di serotonina e dopamina. L’evento o la circostanza stressante, presi singolarmente, non sono così dannosi: ciò che conta è come la persona valuta lo stress e come si relaziona ad esso. Pertanto, quello che è importante è il significato che l’evento ha per l’individuo. Maggiore è il numero di stress a cui un individuo è esposto, maggiore è la possibilità successiva di dipendenza.
Una serie di variabili interagiscono e si influenzano reciprocamente perché accada l’escalation della dipendenza:
- Condizioni socio-culturali ed economiche deprivanti;
- Ansia, impulsività, la ricerca di sensazioni ed emozioni intense;
- Predisposizione biologica, ovvero alterazione dei sistemi cerebrali che hanno la funzione di rilasciare dopamina e di regolare i processi di motivazione-gratificazione;
- Esposizione prolungata a fattori stressanti.
Accendere la motivazione, accendere la Gioia.
La teoria dell’auto-medicazione è il collegamento tra stress e dipendenza: a causa di un evento traumatico, le persone possono utilizzare delle sostanze per fronteggiare le tensioni, o addirittura per alleviare i sintomi dell’ansia causati dal trauma stesso. Quindi le droghe sono un mezzo per contenere le reazioni dello stress psicofisico.
La parte della corteccia prefrontale che è coinvolta nella cognizione deliberativa è interrotta dallo stress; il cervello stressato perde cosi la capacità di essere riflessivo. Le persone stressate sono perciò inclini a seguire impulsi, quali il fumare, bere, eccedere nel cibo, abusare di farmaci prescritti o sostanze in generale, come modalità per affrontare lo stress quotidiano. Quindi, gli eventi di vita stressanti associati ad un’incapacità di auto protezione, potrebbero facilitare lo sviluppo di un qualsiasi tipo di dipendenza.
La clinica della dipendenza.
I neuroscienziati oggi sostengono che gran parte della massa cerebrale dell’uomo sarebbe legata allo sviluppo del cosiddetto “cervello sociale” piuttosto che al pensiero razionale. Non esiste solo la chirurgia plastica ma anche la chirurgia dell’anima: nella società caotica di oggi non ci possiamo più permettere ansie e paure, non c’è più spazio per il dolore e il tempo di vita è interamente dedicato a dare un senso alla propria esistenza. Uno degli assunti più diffusi del nostro tempo post-moderno è quello di poter cambiare rapidamente i propri stati interiori à la carte. Nuove droghe, nuove pratiche sociali (ad es. shopping compulsivo, sport estremi, cybersex) rientrano ugualmente nella “cosmesi” psicologica: come si pratica il body building si può oggi praticare il mind building, una sorta di plastica dell’anima che asseconda i desideri più comuni per raggiungere una felicità immediata, apparentemente priva di grosse implicazioni. Il web e le sue potenzialità possono diventare le droghe più semplici ed immediate per l’uomo contemporaneo. Il luogo fisico dell’incontro con gli altri, oggi, è occupata dai dispositivi elettronici onnipresenti e seduttivi: il computer e l’utilizzo della dimensione virtuale.
Un certo Miguel Benasayag, filosofo argentino, psicanalista ed amico di Ernesto Che Guevara, postula una sua “clinica della dipendenza”, una rete di comportamenti che tendono allo stimolo di una dipendenza sana dagli altri. Si, perché di “dipendenza sana” da altre persone, si può vivere ed anche bene: la persona si sviluppa creativamente, creando dentro di sé coraggio e gioia di vivere. Nella dipendenza. Nella sicurezza.
Dott. Francesco Ruiz