Quando l’interesse e la paura sono i principi della società
Nell’età delle esaltazioni futuriste, Pirandello non esita a pubblicare un romanzo polemico e critico contro la nuova società. Nel romanzo si riflette in pieno la poetica pirandelliana e cioè la sua visione negativa del mondo dominato dalle macchine, dalle convenzioni e dalle condizioni sociali. La visione negativa del mondo in cui l’individuo è immerso nella continua lotta tra la realtà e finzione. Esistono dei meccanismi che si innestano con i sorrisi e la cortesia e i riflessi si evincono nelle relazioni sulla salute, sull’umore e anche sulla produttività. Un ambiente positivo, di fiducia e rispetto, porta vantaggi per tutti. La gentilezza è una scelta. Il che, non sempre, è il percorso più facile perché la nostra mente presta attenzione soprattutto alle cattive notizie e quando siamo sommersi da stimoli negativi crisi economica, ambientale, problema dei migranti, pandemia le persone più fragili faticano a tenersi in equilibrio. Per sopravvivere in un contesto simile, attivano meccanismi pre programmati della nostra mente che spingono all’aggressività e alla maleducazione. La gentilezza è invece attivata dall’empatia cognitiva. Il che significa non solo capire le emozioni degli altri ma anche vedere la realtà come la vedono gli altri, essere “connessi”. Mai come in questo momento abbiamo bisogno tutti, ma proprio tutti, di riscoprire e coltivare quella che Marco Aurelio, filosofo e imperatore romano, definiva “la gioia dell’umanità”: la gentilezza. Già, perché se è vero che i suoi tanti contrari, dalla maleducazione all’insolenza, dall’arroganza a varie forme e gradazioni di violenza, avvelenano la vita, è certo che la gentilezza l’arrotonda, la migliora e la rende più dolce per tutti. Evitando così un grande spreco di rapporti umani prima che di comunità, sociali. È una parola chiave che sta tornando di moda: la gentilezza. Film, nuovi libri e perfino corsi per tutte le età. La mitezza si sta trasformando in un’arma vincente per sedurre e per convincere gli altri, laddove siamo stati abituati all’uso sempre più frequente della forza, della violenza prevaricatrice e del turpiloquio.
Le persone gentili sono più sane, più benvolute e produttive, risolvono i conflitti con facilità e si sentono più felici. È arduo contabilizzare quanto valgono nelle imprese attenzione, empatia, disponibilità all’ascolto, ma sicuramente gli imprenditori e i manager sanno quanto costa e quanti danni fa un clima di lavoro non fondato sulla gentilezza: conflitti, liti, ostilità, contrapposizioni, arroganza. La deriva antropologica che ha spento la gentilezza è stata accelerata sicuramente da alcuni fenomeni, tutti concentrati nel tempo e negli effetti. C’è il peso di una crisi economica ormai al quinto anno abbondante, con tutte le incognite sul futuro e con un popolo che ha accumulato, come quelle batterie che si autoalimentano, rabbia mista a indignazione, invidia sociale mescolata con il risentimento. E dunque fine della gentilezza, anche come sentimento che lega una comunità, che la tiene insieme laddove il conflitto di interessi e di ruoli è naturale per definizione.
La pandemia non ci ha reso mediamente più gentili. E perché mai sarebbe dovuto accadere? I virus non sanno cosa possa essere la gentilezza (e neanche s’intendono di statistiche), l’ecologia e la biologia non l’hanno mai analizzata molto, sembra piuttosto una cosa di umani con una propria evoluzione storica e geografica fra individui sapiens, gruppi, comunità, popoli. Non c’entra, ovviamente, con la morale e nemmeno con la cosiddetta “buona” educazione negli usi e costumi familiari e collettivi, variabili nello spazio e nel tempo, diverse per alfabetizzazione, cultura e classe sociale. Negli ultimi anni, da molte parti, sembra che le persone che sentono l’esigenza di essere (mostrarsi?) gentili non siano la maggioranza e non siano ben viste. E, allora, quando tornerà di moda (almeno maggioritaria) la gentilezza? Nonostante qualcuno di noi la consideri valore pratico quotidiano dell’esistenza residua, nonostante molte belle possibili citazioni poetiche e nonostante illustri autorevoli personalità stiano producendo riflessioni teoriche sulla sua essenzialità sociale, i più ancora ne usano davvero poca, i più ancora la dileggiano sui social, è senso comune che non ce la possiamo permettere, né individualmente, né nazionalmente. Innumerevoli sarebbero, in negativo, le citazioni da fare. In positivo si potrebbero richiamare molti testi scientifici su aspetti dell’educazione primaria, della cortesia, delle buone maniere, della tolleranza, della cui lettura vi è però scarsa traccia sociale. Forse potranno avere un effetto migliore due libri di larga diffusione e discreto richiamo sui grandi mezzi di comunicazione di massa. l termine gentile deriva da gentilis, ovvero qualcosa che appartiene alla gens, alla stirpe, all’insieme delle famiglie di una comunità con un capostipite comune (un antenato sapiens comune, un antenato animale comune, un antenato vivente comune, per stare alla genetica e alla biologia evoluzionistica). Pur complesso etimologicamente, alla rudimentale componente genetica e biologica il significato si è esteso a elementi spirituali e comportamentali, finanche ad aspetti morfologici ed esteriori. Dunque la gentilezza viene descritta come lo strumento chiave per produrre senso nelle relazioni umane e come un buon metodo per affrontare e risolvere i conflitti. La tecnica gentile mira a trasformare il conflitto in energia positiva quando è possibile; evitarlo quando è impossibile; renderlo più breve e meno dannoso se è inevitabile e ingovernabile. La premessa è ascoltare con mente aperta, non influenzata dai pregiudizi, dai preconcetti, dalle sovrastrutture e scegliere con coraggio di silenziare un poco l’invadenza e la rumorosità del proprio ego. L’obiettivo è diventare un buon comunicatore, non un’efficace manipolatore. Come già detto in un periodo storico sempre più dominato dall’individualismo, dal consumismo di oggetti e persone, dalla perdita di valori che indichino la strada da seguire, la Gentilezza torna a rivendicare il suo ruolo non soltanto educativo “di buone maniere” ma anche di regolatore della salute e della longevità. La gentilezza è diventata un piacere proibito. In un certo senso è sempre rischiosa, perché si fonda sulla sensibilità nei confronti degli altri e sulla capacità di identificarsi con i loro piaceri e con le loro sofferenze. Ma anche se il piacere della gentilezza è rischioso, è una delle cose più appaganti che abbiamo. La storia ci illustra i molti modi con cui gli esseri umani cercano un legame, dalla celebrazione classica dell’amicizia agli insegnamenti cristiani sull’amore e sulla carità fino alle filosofie del novecento sullo stato assistenziale. E ci mostra fino a che punto le persone sono distanti le une dalle altre e fino a che punto la capacità di amare il prossimo sia inibita da paure e rivalità antiche quanto la gentilezza. Per gran parte della storia occidentale la gentilezza è stata legata alla cristianità, che considera sacri gli istinti generosi delle persone e li mette alla base di una fede universalistica. Per secoli la carità cristiana ha fatto da collante culturale, tenendo uniti gli individui di una società. Ma dal cinquecento in poi il comandamento cristiano “ama il prossimo tuo come te stesso” ha subìto la concorrenza dell’individualismo. Gli uomini, sostiene Hobbes, sono delle bestie egoiste che pensano solo al loro benessere: l’esistenza è una “guerra di tutti contro tutti”. Alla fine del settecento queste teorie, nonostante gli sforzi di Hume, diventarono l’ortodossia.
Duecento anni dopo siamo diventati tutti sostenitori di Hobbes, convinti di essere mossi solo dall’interesse personale. La gentilezza ispira diffidenza e le dimostrazioni pubbliche di generosità vengono liquidate come moralistiche e sentimentali.
Eppure la gentilezza continua a essere un’esperienza di cui non riusciamo a fare a meno. Tutto, nel nostro sistema di valori contemporaneo, contribuisce a far sì che sembri utile in alcune circostanze (lo è), ma anche potenzialmente superflua, come le vestigia di un’altra epoca. E tuttavia la desideriamo, sapendo che la gentilezza – quel sentimento antiromantico che incoraggia la vitalità legata alla vulnerabilità – crea un coinvolgimento con gli altri che temiamo e allo stesso tempo cerchiamo con tutte le forze.
È la gentilezza, quindi, che rende la vita degna di essere vissuta: ogni attacco contro la gentilezza è un attacco contro le nostre speranze.
Maria Ragionieri