Cos’è un gentiluomo?
gentiluòmo (ant. ‘gentile uòmo’) s. m. [comp. di gentile1 e uomo; i sign. 2 e 3 per traslato] (pl. gentiluòmini).
- Uomo di nobile origine e che ha la condizione sociale, le cariche o i privilegi che per la sua nobiltà gli competono: Federigo imperatore fece impendere un giorno un grande gentile uomo per certo misfatto(Novellino). In partic., titolo di chi esercita speciali mansioni nelle corti: g. di corte, g. di palazzo, g. di camera, g. di servizio.
- Chi, anche non nobile di nascita, rivela educazione fine, indole cavalleresca, modi signorili e rettitudine di costumi: per ciò che piacevol gentile uom mi parete, vi menerò da lei(Boccaccio); essere un vero g.; comportarsi da g.; dimostrare coi fatti di essere un gentiluomo.
- Cannone in uso dal sec. 16°, lungo circa un metro, costruito in legno cerchiato di ferro, e usato per lanciare pietre e mitraglie.
- Malattia del riso, detta anche mal dello sclerozio, caratterizzata da un annerimento della porzione del culmo e delle guaine che stanno sott’acqua, seguito da screpolamento e dalla morte della pianta; anche, l’alterazione del riso detta comunem. lussuria. [fonte Treccani.]
Ciò che salta all’occhio e che mi sembra opportuno considerare è la variabilità del significato della definizione “gentiluomo”, che parte da una figura cavalleresca per finire in una malattia del riso.
Questo ci dovrebbe mettere in guardia dall’usare certe parole con superficialità, perché è sempre chi ascolta che definisce il “proprio” significato di ciò che sta ascoltando.
Senza cadere nel relativismo estremo, va considerato l’impatto del giudizio sul chi è giudicato e su quanto un’etichetta possa condizionarne il comportamento, sia in positivo che in negativo.
Se un genitore apostrofa un bambino con definizioni positive o negative, nel tempo, farà di lui una persona garbata e mite o un uomo sgarbato e violento, perché impartirà dei veri e propri ordini al sistema ricettivo del bambino, che, in quanto genitore e massima autorità, lo vede come fonte di verità.
Senza inerpicarci su percorsi psicologici impossibili da esplorare fino in fondo, è consigliabile, in altra sede, l’approfondimento degli effetti psicologici e comportamentali che possono avere i genitori sui figli utilizzando certe “etichette, anche per comprendere come questi effetti incidono all’interno del mondo del lavoro e delle relazioni.
In sintesi: non si è ma si diventa.
Ecco, potendo scegliere, preferisco ragionare su come si diventa un gentleman o un uomo bestia e quali sono i percorsi che ognuno può e dovrebbe fare per rientrare nella prima categoria.
Come sempre, il mio punto di vista si orienta verso il mondo aziendale passando per le imprescindibili umane vicende, di cui l’azienda stessa è intrisa e che determinano la qualità dell’umano e, per riflesso, la qualità dell’ambiente in cui lavora.
In altri articoli ho toccato il tema dell’Epigenetica e di quanto, già in fase fetale, l’essere umano sia influenzato dagli stimoli esterni, dal dialogo interiore della mamma e dalle affermazioni di ambedue i genitori, per cui salto alla fase in cui il bimbo è nato e inizia imparare per imitazione e, via via, per altre forme di apprendimento.
Tolti i genitori, un bimbo da chi dovrebbe imparare la gentilezza, la fermezza, l’integrità morale (valoriale) e altre cosucce di questo genere, che sono l’essenza stessa del gentiluomo?
Dalla TV? Dai videogiochi? Dai cantanti Trap?
È un po’ improbabile che da questi canali arrivino esempi di gentilezza, altruismo, rispetto, e così via, perché, salvo rare eccezioni, si tratta di violenza, soprusi, invasioni, competizione, linguaggio violento e forme di bullismo di vario genere.
Dopo un simile trattamento e una così lunga esposizione a ogni forma di suprematismo esistenziale, cosa possiamo aspettarci se non comportamenti al limite della bestialità?
Aristotele ebbe a dire: “Noi siamo quello che facciamo ripetutamente. Perciò l’eccellenza non è un’azione, ma un’abitudine.”
A questo punto è opportuno inserire il concetto di responsabilità e, soprattutto, di chi e come si assume la responsabilità per ciò che è, per come ci è diventato e per cosa intende diventare e quali nuove abitudini pensa di mettere in atto.
E sì, perché il cambiamento non avviene eliminando delle abitudini ma sostituendole, a causa di bias cognitivi molto potenti: “status quo – avversione alla perdita”, che rendono doloroso o quasi impossibile l’eliminazione di un comportamento rassicurante e percepito come zona di comfort (vedi tutte le dipendenze).
Ecco perché se mi metto a dieta eliminando alcuni cibi non farò altro che vederli ovunque e desiderarli costantemente, ma se scelgo di iniziare a mangiare altri tipi di cibi e me ne appassiono, vedrò e cercherò questi ultimi e non più quelli che mi piacevano prima.
È dunque possibile diventare un gentiluomo?
Certo che sì, ma solo se iniziamo a provare piacere in comportamenti che prima giudicavamo male: apri la portiera alla tua ragazza, sei uno zerbino; eviti di rispondere con veemenza a qualcuno che ti insulta nel traffico, sei un vigliacco; ti commuovi davanti a un libro, sei una femminuccia, fai meditazione e pratichi la spiritualità, sei uno strano.
Se non sostituisci questi giudizi non potrai mai fare il cambiamento, perché nessuno vuole essere uno zerbino, vigliacco, e strano, ma se pensi che queste sono le caratteristiche di un personaggio come James Bond e ti piace l’idea di assomigliargli, allora è più probabile che inizino a piacerti.
Non resta che prendere una decisione e assumerne la responsabilità: facile facile!
Ezio Angelozzi
Formatore e business coach