Risvolti di un conflitto
Il recente conflitto russo-ucraino, il primo dalla Seconda guerra mondiale che per dimensioni e impegno di risorse ha interessato l’Europa, ha riproposto il significato di cosa sia una economia di guerra. Il punto rilevante è che a differenza di quanto è successo nel passato, la forte interconnessione internazionale delle economie coinvolte e il loro rilievo, fa in modo che il concetto di economia di guerra non si limiti solo agli stati belligeranti, ma presenti delle profonde implicazioni su contesti più vasti, proiettandosi a livello internazionale e quindi modificando anche alcune caratteristiche dei processi economici di ampie parti del Globo. L’analisi è basata su una ricognizione di dati e di fonti volta ad evidenziare la forte interconnessione internazionale delle economie coinvolte e il loro rilievo.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha modificato, in peggioramento, lo scenario economico, soprattutto per l’Europa e per l’Italia. La guerra sta avendo importanti implicazioni. Il problema economico della guerra è duplice: da un lato rendere disponibili risorse per gli armamenti, il mantenimento e la mobilitazione degli eserciti e, dall’altro, organizzare la produzione a sostegno della guerra. Quanto più dura una guerra tanto maggiori saranno le risorse necessarie. Vi sono quindi due aspetti da considerare in maniera congiunta: la finalizzazione della produzione a sostenere lo sforzo bellico, da un lato, e dall’altro la modificazione/adeguamento delle principali regole che sono alla base del mercato, attraverso l’inserimento di forti restrizioni al suo ordinario funzionamento. La guerra sta amplificando le difficoltà nel reperimento di materie prime e materiali, in particolare per quelli che provengono dai tre paesi coinvolti. La carenza di materie prime e materiali già nel 2021 ha rappresentato il principale ostacolo alla produzione; la guerra sta accrescendo il rischio di interruzioni nelle produzioni industriali e, per le imprese, comporta anche elevati costi per la riorganizzazione delle forniture. La durata della guerra è una variabile cruciale. Il perdurare del conflitto mantiene elevate le tensioni sui prezzi di gas e petrolio; impedisce le produzioni in Ucraina riducendo l’offerta di alcuni prodotti di cui quel paese ha quote rilevanti nell’export mondiale. Questo spinge in alto i prezzi di alcune commodity principalmente agricole, anche perché l’aumento della produzione in altre aree del globo è possibile solo in un arco temporale sufficientemente ampio.
Il problema principale dell’economia di guerra è l’adattamento delle forze produttive a nuovi bisogni quantitativamente e qualitativamente diversi (Carabelli, Cedrini, 2013). L’adattamento delle forze produttive alle nuove esigenze implica una trasformazione qualitativa, nel senso che importano alla condotta bellica i beni che si possono trasferire alla soddisfazione dei nuovi bisogni; quindi, lo sforzo bellico risiede nella possibilità di trasformazione dei beni esistenti in beni di guerra. Come è stato sottolineato da Mancur Olson (1963) un elemento da valutare bene al riguardo, in presenza di economie integrate di mercato, riguarda anche la capacità di sostituire alcuni utilizzi di beni di tipo voluttuario ad altri considerati “essenziali” in quanto più direttamente finalizzati alle esigenze belliche. L’aumento dei prezzi può costituire un metodo alternativo o sussidiario rispetto al gravoso razionamento, per limitare il potere di consumo dei privati, attivando effetti di sostituzione a favore del maggior potere di acquisto necessario allo Stato. Tuttavia, questo metodo comporta l’alimentazione dell’inflazione, la svalutazione crescente della moneta, e il conseguente sovvertimento dei redditi che può causare grave disagio sociale. Esiste una differenza fondamentale, di carattere sociale, oltre che economico e finanziario, tra il risparmio «forzato» dall’inflazione, che aumentando i prezzi diminuisce il potere di acquisto dei consumatori e lo trasferisce allo Stato, e il risparmio volontario, sollecitato o anche obbligatorio. Il rincaro dei prezzi attiva il circolo vizioso degli aumenti di salari e stipendi, causa e conseguenza insieme di nuovi aumenti dei prezzi, e comporta un peggioramento del tenore di vita e, alla lunga, una disgregazione dell’economia, perché a causa del mutuo influsso tra inflazione e svalutazione, il paese belligerante rischia di avviarsi in una spirale pericolosa che potrebbe portare al suo default. Di conseguenza è necessario moderare la tendenza all’aumento dei prezzi, per permettere il formarsi di un surplus di risparmio dei redditi moderatamente cresciuti per la nuova congiuntura e non assorbiti totalmente da quell’aumento. Il risparmio così formatosi confluirà in parte al finanziamento diretto della produzione e in parte alle casse pubbliche, attraverso moderate imposte sui redditi più alti e le molteplici forme di risparmio popolare per i redditi minori.
La guerra tra Russia e Ucraina, iniziata il 23 febbraio, oltre a enfatizzare alcuni fenomeni già in corso, ha indotto un ulteriore shock economico-finanziario, che si esplica attraverso molteplici canali di trasmissione: l’ulteriore aumento dei prezzi energetici (in particolare gas e petrolio) e dei beni agricoli, che erode significativamente i margini operativi delle imprese, con riflessi negativi sull’attività economica; il peggioramento delle difficoltà nel reperimento di materie prime e materiali, in particolare il forte incremento dell’incertezza che influenza negativamente la fiducia degli operatori penalizzando le decisioni di investimento delle imprese e di consumo delle famiglie: l’indice di incertezza della politica economica per l’Italia è salito del 21,1 per cento nella media dei primi due mesi del 2022 rispetto al quarto trimestre del 2021, ma è destinato ad aumentare ancora.
Occorre un piano per limitare le conseguenze consistenti nei seguenti elementi tra loro coordinati: a) utilizzare fino ai limiti del possibile la liquidità del mercato monetario per prestiti pubblici a breve e medio termine;
- b) sfruttare le possibilità dell’ordinario sistema fiscale e impiegare l’imposizione straordinaria solo per i profitti di guerra;
- c) preparare un piano di conversione volontaria dei debiti contratti;
- d) preparare una riforma del sistema fiscale per la liquidazione delle conseguenze della guerra.
Naturalmente questo piano può riuscire solo se vengono assicurate le condizioni fondamentali del finanziamento economico della guerra: maggiore produzione, minore consumo e integrale devoluzione del risparmio occorrente ai bisogni bellici. È necessario da parte dell’offerta controllare i costi; da parte della domanda controllare i consumi. Gli stessi elementi psicologici che si sprigionano dall’impressione generale di una mancanza di giusta intransigenza, amplificano i fatti reali, e possono minacciare insieme con il valore della moneta l’equilibrio dell’intero sistema di finanziamento della guerra. In definitiva, dai metodi di finanziamento economico dipendono i costi della guerra che non sono problemi indipendenti, ma strettamente interdipendenti. La guerra implica la necessità di affrontare costi non consueti. Questi costi vengono ulteriormente ampliati per effetto di provvedimenti che rientrano nella “guerra economica”. Ciò comporta anche una redistribuzione di ricchezza e non solo nei limiti dei costi della guerra, il che complica i problemi già gravi della ricostruzione sulle devastazioni di una guerra totale.
In tutta questa situazione la BCE può intervenire solo ed esclusivamente per finanziare (e salvare) le banche dell’area euro. Quindi finora la BCE ha potuto salvare gli stati prestando alle banche soldi a tassi di interesse pari a zero o sottozero; le banche poi a loro volte compravano i titoli di stato dei paesi dell’euro e li riciclavano alla BCE per ottenere altri prestiti. Il problema vero è che oggi le banche non hanno più convenienza come prima a comprare i titoli di stato italiani perché attualmente l’inflazione è superiore ai rendimenti. Da qui la crisi del debito pubblico. E da qui anche la crisi delle banche: il valore dei loro titoli di debito comprati in passato è infatti molto diminuito a causa dell’inflazione. Le soluzioni ci sono ma i politici europei tentennano di fronte a scelte risolutive, perché questa crisi è globale e i capitali internazionali potrebbero ritirarsi improvvisamente dai mercati europei per coprire le perdite nei loro mercati domestici; e potrebbero allora provocare un crollo generalizzato dell’euro, come stava per avvenire già dieci anni fa, con la crisi dei subprime.
Maria Ragionieri