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Il tramonto dei valori e l’affermazione del narcisismo: quale futuro per la famiglia?

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Il tramonto dei valori e l’affermazione del narcisismo: quale futuro per la famiglia?

Allora, occorre fare dei distinguo: i valori non sono mai vecchi, se sono veri valori, sono eterni ed intramontabili. I VALORI SONO.

Non vanno in soffitta e neppure in cantina come un repertorio datato.

Piuttosto mi piace analizzare le altre parole, come la “famiglia” collegata a “valori”! i due termini appaiati ripropongono la vetustà di qualcosa che non sta in piedi.

Famiglia: di che famiglia parliamo, a quale famiglia vogliamo riferirci? A quella in cui c’è un classico nucleo formato da padre, madre, figlia e figlio, tutti incollati allo smartphone senza scambiarsi un solo cenno? Intendiamoci: non è che la famiglia senza telefonino fosse migliore, perché tutto nella maggior parte dei casi era una recita: non si doveva parlare a tavola perché il padre era “tornato stanco dal lavoro”, se c’era qualche interferenza rispetto a “cotanta stanchezza”, questa si limitava alla illustrazione dei profitti scolastici che, se non c’erano, avrebbero fatto scatenare chissà quale reprimenda del “capo famiglia” verso quel figlio “reo” di non aver riportato un brillante voto in quel compito o in quella interrogazione.

Di fatto tutti e quattro stavano pure prima a pensare ai rispettivi “cavoli” e, in fondo i social perlustrati in simultanea, forse, sono serviti ad eliminare un velo di ipocrisia.

C’è un aspetto, nel titolo, che invece merita di essere posto all’attenzione: quel narcisismo di oggi e di domani  che è venuta fuori come una pianta selvatica.

Cos’è nella sostanza, il narcisismo, e come si alimenta. Amare sé stessi o, per meglio dire, ammirarsi, è una dimensione del proprio essere, speculare a colui che sa amare l’altro e, amandolo, sa donarsi a lui.

Noi oggi rileviamo una crescita esponenziale di narcisisti che sono l’effetto devastante di un amore che non si è saputo elargire. Quando i genitori si sono rapportati ai figli non accettandoli così come erano, ma accogliendoli a condizione che si fossero conformati al modello, al parametro che quei genitori avevano del figlio che “loro avrebbero voluto avere”, è iniziata una china rovinosa, un distanziamento che avrebbe cancellato quel senso di tenerezza che viene fuori dalla frase: “ti amo così come sei e non per ciò che fai o per come mi corrispondi”.

Questi nostri figli (intendo i quindicenni/diciottenni di oggi) sono nati dai cinquantenni che a loro volta non avevano ricevuto adeguato amore e quindi erano inadatti a trasferire qualcosa di cui non erano stati circondati.

Tutto quello che sta crescendo oggi, come il rifugiarsi nei dispositivi elettronici e vivere una vita parallela (la cosiddetta virtualità) non è altro che una voglia di fuggire, di vagare senza comprendere esattamente dove approdare.

Dobbiamo tornare molto indietro, riallacciare la nostra memoria a quella fase di vita del Paese, successiva alla seconda guerra mondiale, alle macerie di quell’immane conflitto che poi esortò tutti a procedere verso una ricostruzione. Quello era un punto di riferimento: vivo perché devo far tornare il mio Paese, migliore e libero dalla distruzione. I figli respiravano quest’atmosfera e partecipavano ad un’azione monumentale accanto ai propri genitori.

Poi tutto questo è venuto meno: si vive per accumulare, per “dare un futuro migliore” ai nostri figli. Ma non si vive “per”, si vive “con” e invece quei genitori hanno cominciato a svolgere il secondo lavoro “per” concedere ai figli quello che loro avevano sempre desiderato.

I figli hanno cominciato a sentirsi destinatari di soddisfazioni senza che quelle “conquiste” le avessero desiderate. Quindi si è spento in loro quel “desiderio” perché veniva appagato prima ancora che avessero concepito qualcosa di “desiderabile”.

Occorre tornare alla tensione verso qualcosa di desiderabile e non immediatamente appagabile. Cosa può ambire un figlio che dispone di una Porsche sotto casa e di una dose di cocaina per i fine settimana? Ne abbiamo fatto un soggetto indifferente verso i problemi degli altri ed alla sola disperata ricerca di una vita che abbia un senso che purtroppo si allontana irrimediabilmente da sé.

Meditare, meditare, meditare….

Ernesto Albanello

 

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