Non è certo uno scoop da premio Pulitzer per il giornalismo investigativo dire che “in Italia c’è grossa crisi”, e non solo nella nostra penisola. Crisi di ogni genere, accompagnate da emergenze che più emergenze non si può, vere o presunte, sostanziali o formali, provocate o sopraggiunte per cause accidentali, poco cambia. I problemi ci sono, sono tanti, e le soluzioni sono merce rara.
In un clima del genere, si sa, si fa fatica a distinguere i condottieri dai pifferai, i problem solver dai venditori di fumo e le persone per bene dai meri opportunisti. Soprattutto ai vertici della politica, dell’economia e, più in generale, delle istituzioni, coloro che dovrebbero essere i punti di riferimento per i cittadini che ad essi di sono affidati per guidare il Paese “nella buona e nella cattiva sorte” giocano, a volte in maniera più che puerile, a rimpiattino, alle belle statuine e a “un, due, tre stella”, cercando di mantenere potere e credibilità (e quindi “voti”), possibilmente senza fare nulla di sostanziale che possa mettere a rischio lo “status quo”.
Senza scomodare le recenti conferme di questo immobilismo patologico, dal Mattarella bis ai balletti di Palazzo Chigi, passando da un parlamento che ha cambiato più maggioranze in questo mandato che nei precedenti quattro, il punto è che chi, oggi, guida il Paese risulta, a torto o a ragione, talmente inadeguato da far rimpiangere il passato, dal più recente al più remoto, e i personaggi che lo hanno popolato. Tra questi, ovviamente, i “giganti” che hanno costruito la Repubblica Italiana, politicamente (anche senza “trasferirsi” vita natural durante a Montecitorio!) e ancor di più economicamente, guardando al benessere diffuso e al miglioramento delle condizioni e del tenore di vita dell’intera popolazione, anziché semplificarsi la vita dialogando (e favorendo) solamente le lobby e i personaggi di spicco che c’erano, un tempo, come ce ne sono oggi.
Così, è tornato alla ribalta, più roboante e rimpianto che mai, il nome di Enrico Mattei, con ogni possibile riferimento alle sue “imprese”, alle sue battaglie e alla sua personalità, capaci di guidare l’Italia tra le prime cinque potenze economiche mondiali. Il nome di Enrico Mattei, però, è ritornato in auge anche in relazione alla situazione che si sta configurando, a seguito degli scontri tra Russia e Ucraina, con la crisi del gas per i Paesi dell’Unione Europea, i veti, le sanzioni e tutto ciò che sta provando a tagliare fuori i rapporti di fornitura con la Russia a beneficio di altri Paesi (africani, ad esempio) e degli Stati Uniti, pronti a sopperire con le loro materie prime alle carenze provocate dalla guerra alle porte dell’Europa. Stati Uniti con i quali i rapporti di Mattei si potevano sicuramente considerare “tesi” e, di certo, non improntati al “timore reverenziale” (per essere eufemistici) che invece sembra essere connotato necessario e imprescindibile per guidare il nostro Paese, di questi tempi (e non solo).
Recentemente, sono apparsi numerosi articoli su Mattei, in alcuni casi anche con dichiarazioni importanti e “pesanti” dei suoi familiari e di persone a lui vicine, che hanno voluto evidenziare come uno dei più grandi “capitani d’industria” del dopoguerra italiano, colui che disse “non voglio essere ricco in un Paese povero”, che provò a portare l’Italia verso l’indipendenza energetica (cosa che oggi sembra un fantascientifico miraggio) e che si mise, solo, contro le “Sette Sorelle”, una delle lobby più potenti del mondo della sua epoca, sia riuscito a fare cose che i “migliori” alla guida del nostro Paese oggi sembrano non essere in grado neanche di pensare né di realizzare nemmeno nei loro sogni più arditi.
Nemo