Nuove generazioni portavoci di un processo di decostruzione dei ruoli sociali
Essere genitori è un “mestiere” che nessuno insegna e che si impara solo con l’esperienza. Questa esperienza si sviluppa e matura insieme e accanto alla crescita dei propri figli. Lo stesso Freud riteneva l’allevamento dei bambini una delle tre professioni impossibili, insieme con la psicoanalisi e il governo di una nazione. Non esiste, dunque, una via maestra e perfetta, un decalogo, non ci sono istruzioni d’uso per essere padri o madri esemplari, ma l’interesse nei confronti della genitorialità, e della sua influenza sullo sviluppo dei bambini, è stato da sempre fortemente presente nel campo della ricerca in educazione. Negli ultimi decenni, tuttavia, l’attenzione nei riguardi di questo tema è notevolmente aumentata: libri, riviste, articoli scientifici, insieme alla creazione di percorsi di sostegno alla genitorialità e di vere e proprie associazioni di genitori, nonché direttive promulgate da parte della stessa Unione Europea, hanno posto l’accento sull’importanza del ruolo e della responsabilità genitoriale. Seppure ci troviamo in un’epoca di profondi e radicali cambiamenti, la “famiglia” come nucleo affettivo resta, a oggi, il fulcro, il centro stabile, la guida, il porto sicuro a cui ognuno di noi tende a ritornare nel momento del bisogno. Il nucleo familiare dovrebbe rappresentare, per un bambino, il luogo più importante per la sua sicurezza e serenità e il fondamento su cui andrà a costituire la propria personalità. Si configura, infatti, come contesto originario di ogni processo educativo e come agenzia di formazione primaria. Essa può essere definita una microsocietà educativa e la prima agenzia di socializzazione, in cui gli attori principali sono i genitori e i figli.
È nell’ambiente domestico, infatti, che i figli sperimentano i primi contatti con l’altro, fanno esperienza del diverso da sé, comprendendo di essere soggetti unici e irripetibili, e dove fanno la prima e significativa esperienza di amore. Il rapporto con i genitori, poi, rappresenta la prima forma di interazione sociale per il bambino. I genitori interagiscono con il figlio, se ne prendono cura e lo educano mossi da determinate credenze, valori e sentimenti che potranno influenzare il soggetto per tutto l’arco della propria vita. Non è però possibile arrivare a una definizione univoca di quello che è la famiglia. Pur rappresentando un fenomeno universale e il nucleo fondamentale della società umana, comprende numerosi modelli ed esperienze che assumono caratteristiche e forme peculiari. Ci sono alcuni fattori e condizioni contestuali che si ritengono importanti per poter legittimare pienamente la categorizzazione di famiglia comunanza di esperienze e relazioni, affetto e autorità, rapporti tra i due sessi e tra le generazioni, struttura familiare componente temporale ed evolutiva, componente economica. La famiglia è letta dalla letteratura più recente come sistema complesso, che va al di là delle singole parti che la costituiscono. Secondo tale approccio non è possibile spiegare lo sviluppo di un individuo indipendentemente dal sistema, cioè dalla rete di relazioni significative, di cui esso è parte, né è possibile comprendere il comportamento degli individui senza considerare il contesto in cui ha luogo. È ormai condivisa da molti l’idea secondo cui ciò che avviene nel contesto familiare contribuisce in maniera sostanziale allo sviluppo dell’individuo, il quale riceve da tale contesto e dall’ambiente circostante gli stimoli necessari per la formazione della sua personalità e per lo sviluppo delle proprie abilità sociali e della vita emotiva «i genitori non rappresentano semplicemente i primi e più influenti maestri del figlio», ma «sono coloro per mezzo dei quali egli si orienta nella vita; minuto per minuto egli li osserva e li studia per capire cosa fanno e come lo fanno e con quali sentimenti, sentimenti manifesti, negati o persino rimossi. In tal modo i genitori gli indicano chi essere e come esserlo e il “come” scaturisce sempre naturalmente dal “chi».
Secondo quanto appena affermato, dunque, le esperienze con i propri caregivers e l’ambiente familiare costituiscono l’ecologia di base di ogni persona, che segna, anche se non in maniera ineluttabile, la personalità e il comportamento di ogni individuo. Il termine genitorialità suscita in ogni persona pensieri e riflessioni differenti che rispecchiano la storia individuale, l’esperienza di figli, la rappresentazione dei propri genitori e, se lo si è, di se stessi come genitori, ma che riflettono anche le credenze e i valori insiti nel proprio modello culturale e nella società di appartenenza. Sono molti, infatti, gli studiosi che sottolineano come fare il genitore sia diverso per ciascun soggetto proprio perché sono molteplici i fattori che entrano in gioco nello svolgimento di questa funzione, alcuni tuttavia, notano come l’obiettivo primario della genitorialità sia più o meno lo stesso, nonostante queste differenze: i genitori, cioè, devono fare ciò che è necessario per consentire ai propri figli di diventare competenti, crescendo adulti che saranno in grado di funzionare bene all’interno della società pedagogista , un americano, antropologo e psicologo sociale, che ha dedicato i suoi studi all’osservazione delle cure genitoriali nei diversi contesti culturali, esistono alcune funzioni parentali comuni a tutti i nuclei familiari, indipendentemente dalle caratteristiche del contesto ecologico di vita. Queste tre funzioni corrispondono a tre obiettivi che gli adulti considerano prioritari per i figli: la sopravvivenza, il benessere economico e l’autorealizzazione. Queste pratiche genitoriali messe in atto nei confronti del figlio mutano e si adattano in base ai bisogni evolutivi specifici dell’infante, configurando così la genitorialità come una dimensione dinamica e processuale che si sviluppa insieme con la crescita del figlio. La genitorialità può essere intesa come l’insieme di determinate funzioni di cura che un adulto, sia esso genitore biologico o meno, rivolge a colui di cui si occupa.
Queste funzioni si esplicano nella capacità dell’individuo di «provvedere all’altro, di conoscerne l’aspetto e il funzionamento corporeo e mentale in cambiamento, di esplorarne via via le emozioni, di garantire protezione attraverso la costruzione di pattern interattivorelazionali, di entrare in risonanza affettiva con l’altro di dare dei limiti, una struttura di riferimento, di prevedere il raggiungimento di tappe evolutive dell’altro e di garantire una funzione transgenerazionale». Queste modalità di cura si traducono in comportamenti verbali, espressioni affettive, gestualità che, non solo variano da genitore a genitore, ma che mutano anche qualunque sia la definizione presa in considerazione, il concetto di genitorialità si configura come qualcosa di complesso, come una funzione, o un insieme di funzioni, nella cui costituzione entrano in gioco molte variabili; ma soprattutto una funzione caratterizzata da impegno e responsabilità nei confronti del figlio, visto come soggetto nei riguardi del quale ci si deve impegnare prendendosene cura, fisicamente e intellettualmente. Funzione, inoltre, soggetta a dinamicità e cambiamento, che evolve e si sviluppa nel tempo sia nel corso del ciclo di vita dell’adulto sia lungo il percorso di crescita del bambino. Nell’epoca attuale, infatti nelle singole interazioni che una persona stabilisce con figli diversi o con lo stesso figlio in tempi diversi è quasi scontato considerare il genitore quale figura di riferimento per il figlio, il cui scopo è di garantirne uno sviluppo armonico e equilibrato, di educarlo, nel senso pedagogico del termine, di sostenerlo fisicamente e psicologicamente, fornendogli calore e affetto. Nel corso delle diverse epoche storiche si è passati, infatti, da una concezione puramente procreativa e biologica della genitorialità alla considerazione che il genitore non è colui che mette al mondo un figlio, ma chi si assume la responsabilità parentale, la responsabilità di prendersi cura globalmente di un altro individuo, facilitandolo e sostenendolo nel suo sviluppo e in relazione ai bisogni collegati alle specifiche fasi evolutive. Un genitore prima quasi considerato estraneo, slegato dal processo di formazione dell’infante, diventa, invece, adesso parte integrante del percorso di crescita del bambino, punto di riferimento e base sicura per il suo successivo inserimento sociale e sviluppo psicologico, pur tenendo conto di quelle che sono le variabili individuali e i fattori contestuali che entrano in gioco nel processo di crescita di ogni individuo.
Un genitore, quindi, nello svolgere tale compito di accompagnamento non deve inglobare il figlio, ma deve permettergli di crescere e maturare, facilitando la sua formazione in base a quelle che sono le sue predisposizioni naturali, le sue potenzialità e i suoi desideri. Da un punto di vista pedagogico, educativo e morale, il genitore è colui che educa, sostiene e si prende cura del figlio assumendosi la responsabilità della funzione genitoriale. Da un punto di vista socio-giuridico, invece, il genitore è colui che ricopre lo stato genitoriale, ossia la condizione sociale e giuridica che si acquisisce con la nascita o l’arrivo di un figlio nel contesto familiare, e che porta con sé il concetto di responsabilità genitoriale, e di tutti gli obblighi che da essa ne derivano. Stato e funzione genitoriale, quindi, nella realtà, non per forza coincidono. Infine, da un punto di vista psicologico, la genitorialità è intesa come spazio mentale e simbolico che non si esplica necessariamente con la presenza reale di un figlio, ma che si attiva tutte le volte che l’adulto si trova in rapporti e relazioni di cura nei confronti di un altro soggetto. Negli studi presi in esame fu notata come fosse presente in modo rilevante la continuazione di determinati comportamenti tra le generazioni. Si evidenzia come i figli di genitori con stile complessivo (o dominante) autorevole, infatti, nel momento in cui diventavano essi stessi genitori attuavano lo stesso stile parentale con cui erano stati cresciuti. Si evince come non sia solo il modello genitoriale violento, inadeguato o negligente a venir trasmesso tra le generazioni, ma anche esempi di buona genitorialità. I risultati emersi confermano ancora una volta la trasmissione intergenerazionale di valori e atteggiamenti tra le varie generazioni di uno stesso nucleo familiare.
Le osservazioni finora condotte sollevano, tuttavia, la questione sul perché alcuni genitori replichino il modello educativo sperimentato durante la crescita, mentre altri non lo facciano, soffermandosi dunque su quelli che possono essere i fattori e i processi che facilitano la continuità o la discontinuità della trasmissione intergenerazionale dei modelli educativi sperimentati da figli. In questa possibilità di trasmissione subentrano variabili personali come le esperienze relazionali che possono, nel caso di modelli rigidi o di comportamenti problematici da parte dei genitori, rompere il ciclo di continuità attraverso le generazioni. E nonostante le prove e le dimostrazioni scientifiche della trasmissione intergenerazionale degli stili educativi, non è inevitabile che le esperienze vissute si ripetano nelle generazioni successive, in quanto nella vita di ogni individuo entrano in gioco numerose variabili che possono far sì che il ciclo distruttivo o positivo si blocchi e che quindi ogni genitore attui un modello educativo differente dal precedente. Nonostante la naturalezza con cui si pensa alla genitorialità, la grande mole di ricerche sul tema può farci comprendere come il nucleo familiare e la genitorialità siano oggi oggetto di nuova problematizzazione, di studio scientifico specifico e come ricoprano un ruolo di vitale importanza nella crescita di ogni persona, presentandosi come nucleo primario affettivo. Le teorie, dalla prospettiva ecologica, di Urie Bronfenbrenner e seguaci, pongono l’accento sul fatto che il rapporto genitore-figli non sia il processo che determina l’esito evolutivo del figlio, ma uno dei fattori, di rischio o di protezione, in riferimento al percorso individuale e personale del soggetto. Le esperienze significative fatte con i propri genitori, siano essi biologici o meno, sembrano occupare un posto di primaria importanza nella costruzione della personalità, del carattere, dei valori, delle credenze che ognuno porta in sé.
La presenza di così diverse non corrispondenze tra l’autopercezione del genitore e le pratiche genitoriali percepite dai figli, la presenza di trasmissioni di pratiche genitoriali in modo implicito, nei due gruppi partecipanti alla somministrazione, deriva proprio dal fatto che nel momento in cui si diventa realmente genitori è possibile che ci si “scopra” diversi da ciò che credevamo. Proprio le situazioni in cui caregivers che non avrebbero mai pensato di replicare con i propri figli determinati comportamenti genitoriali (da cui, anzi, si sarebbero voluti distanziare) si scoprono ad agire in quel modo, ripetendo i modelli di interazione instaurati con le proprie figure di cura primaria, costituiscono un esempio di trasmissione “nonostante” (la volontà e i desideri del soggetto). Da questa rilevazione emergono due questioni fondamentali: la trasmissione intergenerazionale avviene non solo per gli atteggiamenti considerati riflessivamente e consapevolmente positivi, ma anche per gli aspetti negativi (punizioni inadeguate, modelli incoerenti, mancata comunicazione) e anche in modo poco consapevole (o “contro” i desideri enunciati); i cambiamenti, in caso di mancata trasmissione per scelta consapevole, hanno portato a maggiore partecipazione e a maggior affetto e comunicazione tra genitori e figli. Le motivazioni della direzionalità positiva di questi cambiamenti vanno forse attribuite al ruolo attivo, consapevole, che comporta il sorvegliarsi per evitare di replicare automatismi comportamentali. Le osservazioni finora condotte non danno risposta, tuttavia, alla questione complessiva sul perché alcuni genitori ripetano il modello educativo sperimentato durante la crescita, mentre altri non lo facciano, soffermandosi dunque su quelli che possono essere i fattori e i processi che facilitano continuità o discontinuità della trasmissione intergenerazionale dei modelli educativi sperimentati da figli. Ciò che sembra essere indubbiamente vero è che la relazione con i propri genitori segna la biografia di ognuno, in maniera positiva o negativa. Ciascuno, a fronte del proprio carattere, della propria personalità e di altre esperienze significative vissute, potrà rispondere in maniera unica e irripetibile anche reagendo in modo positivo a sollecitazioni negative. Se il mestiere del genitore, dunque, è considerato il mestiere più difficile del mondo o una delle tre professioni impossibili di Freud, è anche vero, come afferma uno dei rispondenti alla ricerca, che «è quello che ti dà più gratificazioni in assoluto perché vedere il sorriso di tua figlia nel condividere una sua gioia con te, o anche starle accanto in un momento difficile e vederla rialzare davvero non ha prezzo. Sugli aspetti negativi e positivi percepiti dai giovani rispetto alla propria famiglia d’origine disegnano l’immagine di una famiglia quale ambito tendenzialmente sereno, caratterizzato da una vicinanza generazionale. Non si sottolineano significative distanze e fratture negli ideali e nelle modalità di affrontare la vita, si parla piuttosto di lievi divergenze connesse all’età e alle richieste di responsabilità/libertà, in un trend di rielaborazione del modello di autonomia che riflette complessivamente il dato nazionale. Gli studenti presentano una famiglia unita, caratterizzata da senso di cura, sostegno e protezione, rispetto e libertà.
Alla base il sentimento di appartenenza e la comunicazione intergenerazionale. Comunicazione che rimane un aspetto rilevante anche quando si valutano fra gli elementi negativi della propria famiglia la mancanza di dialogo tra i genitori e il clima ostile nel rapporto di coppia. Pur considerando la solidarietà e l’unione familiare una fonte di stabilità e di sicurezza emotiva a cui non possono rinunciare anche nel processo di adultizzazione, rilevano il rischio che questo clima affettivo diventi un ostacolo al percorso di “adattamento”, ovvero nel momento del confronto con una realtà sociale caratterizzata dall’antagonismo più che dall’agire affettivo. Tra gli aspetti negativi che i giovani attribuiscono alla propria famiglia d’origine, assieme alle difficoltà relazionali tra i genitori, alla mancata cooperazione nella gestione della famiglia e ad una certa ‘chiusura’ affettiva che rischia di disincentivare il confronto con l’esterno, troviamo la poca responsabilità che i genitori sembrano dare ai figli, connessa ad una eccessiva preoccupazione, quale riflesso di una mancanza di fiducia nei loro confronti anche se il dato non è preoccupante e sono in molti a sostenere che alla base della loro autonomia ci sono la fiducia e il sostegno familiare. La variabile data dal grado di istruzione dei genitori e dalla loro posizione lavorativa sembra influenzare i rapporti generazionali, ad un minor livello di istruzione di questi sembra corrispondere infatti una maggiore distanza generazionale avvertita dai giovani, tendenzialmente quando la famiglia d’origine è nucleare e non è caratterizzata dal doppio reddito i giovani, soprattutto le giovani, denunciano il mantenimento di una distanza dei ruoli maschili e femminili e la disuguaglianza che le madri sono costrette a subire. Si crea una discrasia quindi tra il modello familiare appreso e i desiderata rispetto alla famiglia che andranno a costruire, quest’ultima viene immaginata come costituita da una parità tra i partner e da un clima di collaborazione e di dialogo, per inverso a quanto sperimentato nella propria famiglia d’origine. Diversi i casi di famiglie ricostituite, con genitori separati o divorziati o monogenitoriali, si tratta di situazioni che vengono avvertite dagli studenti come aspetti avversi e che costituiscono anche in questo caso un modello in negativo, nel momento in cui si immagina il proprio futuro affettivo e familiare come caratterizzato da un’unione stabile e serena e la famiglia rimane al primo posto tra i valori manifestati. A sopperire ad alcune mancanze genitoriali avvertite o ad una loro perdita le figure dei nonni che mantengono il ruolo di collante familiare. Esiste una presenza maggiore delle famiglie nucleari, a seguire le situazioni di separazione e di divorzio dei genitori, le famiglie ricomposte e quelle allargate in cui fondamentale è la presenza dei nonni che rappresentano la memoria storica della famiglia e permettono la trasmissione dei valori . Riguardo la percezione del proprio futuro e della propria famiglia sembrerebbe sottolineare la problematicità nell’immaginare il proprio percorso futuribile. Infatti anche quando rispondono gli studenti rilevano la difficoltà nel concepire e rappresentare il proprio domani, manifestando una “navigazione a vista” il futuro è una grande incognita di cui non hanno certezza e riguardo alla propria famiglia sono in diversi a considerare scarse le possibilità di realizzarla. La dimensione presentistica non risulta scelta ma subita, la fragilità dei progetti e delle relazioni sembra la conseguenza di un clima economico, politico e sociale che non dà garanzie ai giovani quando riescono a immaginare la propria condizione futura gli studenti, in particolare le studentesse, privilegiano le rappresentazioni connesse alla realizzazione personale nella sfera pubblica e dunque al ruolo lavorativo che desiderano, registrando la consapevolezza di dover subordinare la sfera affettivo-familiare al raggiungimento di una posizione lavorativa stabile e gratificante. L’interesse prevalente è rivolto al raggiungimento di una indipendenza economica ed emotiva, prima all’affermazione professionale e poi alla possibilità di costruire legami affettivi stabili. La realizzazione emotiva è permessa dunque dalla realizzazione materiale. Nei casi in cui al primo posto nei desiderata c’è la famiglia si specifica la volontà di conciliare l’impegno nella sfera pubblica con quello nel mercato del lavoro, oppure il desiderio di realizzare un nucleo familiare è avvertito come l’unica possibilità di affermazione di fronte ad una situazione storico-sociale incerta e difficoltosa, secondo un modello familiare stabile appreso e i rapporti di coppia sono concepiti nell’ottica di una parità tra i sessi, secondo il presupposto di un ‘amore convergente’ caratterizzato dalla conoscenza, dal dialogo e dalla libertà dei partner.
Come si evince da alcuni brani riportati, il modello familiare a cui i giovani fanno riferimento non riguarda necessariamente quello tradizionale strutturato sull’unione matrimoniale ma considera anche i rapporti di convivenza che collocano il desiderio di stabilità nella cornice di una libertà e reversibilità delle scelte. A questo sia associa l’immagine di una famiglia tendenzialmente nucleare formata da un unico figlio, riflesso in questo caso delle volontà per le studentesse di conciliare la vita privata con gli impegni lavorativi. Tra le cose le cose più importanti nella vita per i giovani: la famiglia e l’amore, seguiti dalla realizzazione personale, intesa come realizzazione sociale e professionale e dalla salute. A permette la realizzazione personale il capitale sociale e le reti emotive sia con la famiglia d’origine che con quella immaginata. La sicurezza affettiva è la base su cui costruire il proprio benessere psicofisico e l’affermazione pubblica della propria identità. La famiglia a cui si riferiscono rispecchia il modello familiare appreso e/o la costituzione di uno nuovo. Nella descrizione del proprio futuro affettivo e familiare i giovani fanno riferimento ad un amore caratterizzato dalla conoscenza, dall’intimità e dalla parità dei partner che negoziano la loro relazione, confermando il processo di trasformazione delle relazione affettiva nella direzione di una convergenza. Agli ultimi posti per i giovani i valori legati alla libertà, alla giustizia sociale e alla fede, sintomo di una chiusura privatistica a fronte della crescente sfiducia verso le istituzioni, la famiglia e l’amore sono quindi una fortezza affettiva che sembra permettere ai giovani di utilizzare le risorse di senso per leggere i mutamenti strutturali che attraversano la propria esperienza e ridefiniscono il mercato del lavoro, per sviluppare dunque quelle capacità cognitive che permetteranno loro di realizzarsi professionalmente e socialmente.
Dall’analisi dei dati europei, nazionali e regionali le famiglie sono cambiate, è diminuito il numero delle persone che si sposano o che intendono farlo ed è aumentata l’instabilità coniugale. Si sono affermate le famiglie monogenitoriali, quelle ricostituite e le convivenze more uxorio. Parallelamente le relazioni tra genitori e figli si sono trasformate, verso un lento processo di denaturalizzazione e postmodernizzazione del ruolo genitoriale, anche nell’ottica di una maggiore parità tra i partner e di una decostruzione degli stereotipi sociali che strutturavano i ruoli sociali all’interno della coppia, sebbene il percorso risulti ancora incompiuto e si manifesti come esigenza prioritaria nelle nuove generazioni. La famiglia rimane il valore prioritario per i giovani a fronte di una progressiva perdita di certezze economiche e sociali, una famiglia sicuramente caratterizzata dal dialogo e non dalla distanza generazionale come avveniva decenni fa e da un nuovo legame tra autonomia e responsabilità. I giovani sembrano interiorizzare i modelli familiari appresi in termini valoriali, e se la famiglia d’origine rappresenta l’ambito in cui rifugiarsi di fronte ad un futuro difficile, privo di garanzie, la famiglia propria immaginata appare invece come subordinata all’appagamento lavorativo e all’affermazione pubblica del sé. Il duplice processo di globalizzazione e individualizzazione, connesso a quello di deistituzionalizzazione della vita privata ha comportato un mutamento del ruolo rivestito dalle istituzioni e una loro pluralizzazione. La liberazione dell’individuo dai vincoli tradizionali, da un lato genera una solitudine dell’Io, dall’altro impone la sfida di una riarticolazione dei legami sociali; si produce la lacerante contraddizione tra il senso di autonomia e l’imperativo della scelta. Dalla esiziale contrapposizione tra permesso e vietato si è scivolati nella diade possibile impossibile, nell’oppressivo dovere di diventare noi stessi e di scegliere la nostra vita. In questo rinnovato clima sociale occorre ripensare le categorie analitiche utilizzate dalla sociologia della condizione giovanile. Disorientati da una pluralità di riferimenti morali e opportunità d’azione i giovani devono far fronte oggi alla difficoltà di credere in qualcosa per comprendere se stessi, imparare a far convivere ciò che non può stare insieme. Ecco che la famiglia diventa il luogo di sperimentazione di nuove forme di autonomia, alla luce delle trasformazioni che attraversano il mercato del lavoro, della prolungata scolarizzazione e delle nuove modalità affettive e relazionali tra generazioni. E’ la struttura e il capitale socio-culturale della famiglia a determinare il discrimine tra coloro che riescono a sviluppare le risorse cognitive necessarie per la costruzione e affermazione identitaria e coloro che non riuscendo ad affrontare le incertezze sociali rischiano di rimanere ai margini della società. Eppure, come rivela lo studio condotto sui testimoni privilegiati la forte instabilità sociale sembra determinare una concezione dell’azione sociale come realizzazione del presente, rivelando la difficoltà per i giovani di immaginare e progettare il proprio futuro, a prescindere dal clima familiare in cui vivono o sono cresciuti.
La globalizzazione ha prodotto la combinazione di rischio e opportunità, generando nelle giovani generazioni l’affermazione di valori di stampo postmaterialista, mentre la crisi in cui versano le società nazionali li spinge ad immaginare la realizzazione di quest’ultimi a partire dalla attuazione dei valori materialistici. Le tecniche di adattamento utilizzate dai giovani per affrontare un contesto di precarietà sono all’insegna dell’individualismo – lontano da uno spirito collettivo, critico, solidaristico e contestatario che aveva caratterizzato la generazione precedente – e dei legami ristretti. La chiusura privatistica, generata in larga misura dalle difficoltà occupazionali, si riflette in ambito politico nel disincanto e nella delega. Il processo di differenziazione sociale alla base delle società tardo moderne produce una complessità sociale, la moltiplicazione delle differenze e delle appartenenze, spesso simultanee, la diversificazione dei ruoli. Le cerchie sociali perdono la loro concentricità e la relazione tra posizione e individui diventa labile, tanto da far parlare di pendolarità. L’instabilità del legame tra il giovane e la posizione sociale modifica l’esperienza lavorativa e relazionale, rendendo il coinvolgimento soggettivo parziale e problematica la possibilità di definizione delle coordinate sociali e di collocazione. Così l’apertura dell’orizzonte di scelta genera, accanto alla libertà, la problematica dell’incertezza. Il desiderio di indipendenza, diversità, autonomia, convive con la necessità di un ambiente rassicurante che possa garantire stabilità, a fronte di una diffusa incertezza biografica e sociale. I nuovi figli della libertà sperimentano l’incertezza come elemento inibitore della loro maturazione sentimentale, sono in diversi tra i testimoni privilegiati a sottolineare infatti le difficoltà di formare una famiglia nel futuro a causa della precarietà e instabilità economica e sociale. E quando invece riescono a rappresentare il proprio futuro sentimentale, le relazioni affettive e i legami di coppia sono pensati nell’ottica di una reciprocità e parità tra i generi che permetterebbe alle donne di risolvere le problematiche connesse alla conciliazione tra vita privata e vita pubblica. Concludendo, l’analisi dei dati sui giovani e lo studio del caso hanno permesso di verificare il mutamento che attraversa la famiglia, confrontandolo in chiave diacronica e sincronica. Da un lato la famiglia di oggi appare un ambito di garanzie e di solidarietà in cui i giovani si sentono al sicuro, soprattutto quando possiede una struttura nucleare e manifesta relazioni più paritarie tra i generi rispetto al passato, mentre i lenti mutamenti strutturali e le nuove riconfigurazioni familiari sembrano incentivare una incertezza e una insofferenza nelle nuove generazioni che viene tuttavia contenuta quando sono presenti le reti parentali. Dall’altro lato la famiglia di domani è concepita dai testimoni privilegiati come il difficile risultato di un processo di realizzazione personale che ha il suo incipit nel raggiungimento della professione desiderata. In questo caso i giovani si fanno portavoce di un processo di decostruzione dei ruoli sociali legati al maschile e femminile che non ha trovato completo compimento nelle generazioni precedenti. L’eliminazione delle disuguaglianze tra le famiglie e nelle famiglie per incentivare il potenziamento e la formazione delle agenzie di socializzazione che permettono di assicurare ai giovani le risorse di senso per affrontare il proprio percorso esperienziale e realizzarsi socialmente, contribuendo quindi al benessere sociale e alla crescita economica del paese.
Maria Ragionieri