Atomizzati, un po’ sfiancati ed alla ricerca del proprio io!

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Un io incapace sia di guardare l’altro, sia di ascoltarlo

Dell’espressione «spontaneità» si possono dare diverse definizioni, perché il fenomeno cui essa si riferisce è multilaterale. Intanto occorre rilevare che non esiste nella storia la «pura» spontaneità: essa coinciderebbe con la «pura» meccanicità. Nel movimento «più spontaneo» gli elementi di «direzione consapevole» sono semplicemente incontrollabili. In questo momento di incertezza e limitazione, siamo riusciti a conservare quella spontaneità d’animo che con leggerezza ci porta a voler vivere e cercare un po’ di sano divertimento e avventura? Sembra che la pandemia, oltre ad aver influito negativamente sui disturbi mentali, abbia spento il desiderio, l’entusiasmo di poter fare dei programmi. Senza necessariamente essere del tutto consapevoli dell’afflizione, possiamo soffrire di un eccesso di ordine, cautela e rigidità; sappiamo praticamente esattamente cosa faremo tra un anno, raramente facciamo una mossa senza averlo pianificato in dettaglio, raramente andiamo da qualche parte all’improvviso”, in effetti chi usa la propria spontaneità sceglie il comportamento che più si avvicina al proprio modo di essere e di sentirsi, in base alla situazione e ai propri scopi. Non è impulsività, è scelta consapevole del proprio modo di essere, anche se a volte i due concetti vengono confusi. Lo slancio verso la propria spontaneità, esprime la possibilità di decidere seguendo la direzione delle nostre potenzialità, quindi con i nostri punti di forza, i nostri limiti e le nostre aspirazioni. Una vita spontanea sarebbe una realtà in cui siamo in grado di agire con meno inibizione e paura, in conformità con le nostre convinzioni e valori veri. Pensare al passato e al futuro costituisce un freno a vivere il presente, l’unica dimensione che esiste davveroCon l’avvento della tecnologia molti aspetti della società sono cambiati, basti pensare a come ci informiamo, come parliamo. Negli ultimi anni, a tal proposito, anche le relazioni tra le persone hanno subito grossi cambiamenti con l’introduzione e la diffusione di applicazioni e social media. Veniamo a contatto con il mondo attraverso i media a tal punto che non possiamo avere realmente accesso a un mondo che non sia mediato. Il mondo in cui viviamo non è solo saturato dai media ma è dentro e fra i media, un mondo che è sostanzialmente costruito attraverso immagini e suoni che lo ampliano (sebbene essi possano anche distorcere la versione del mondo che è accessibile attraverso quei sensi che non sono né la vista né l’udito). Mai prima d’ora nella storia dell’uomo si è potuto avere accesso, semplicemente volendolo, a così tante storie, canzoni e immagini statiche o dinamiche. È sbagliato presupporre che quando una televisione o una radio sono accese lo spettatore o l’ascoltatore vi presti grande attenzione, che quelle ‘informazioni’ si stiano depositando nel suo cervello o che una sua opinione o comportamento ne vengano trasformati oppure rinforzati. Questa concezione meccanica della comunicazione come una forza esterna non spiega la peculiare maniera in cui, fin da tenera età, praticamente tutti i bambini interiorizzano il fatto che, in qualche modo, i media sono inestricabilmente ‘prolungamenti di loro stessi’ ed elementi del loro vissuto. Questa società che punta su razionalismo facendoci allontanare dai sentimenti reali, rendendoci aridi senza spazio per la creatività per stimolo dei sensi. Nella società contemporanea esistono molti rischi psicosociali che trovano la loro ragion d’essere nelle caratteristiche strutturali dei sistemi sociali del mondo occidentale. Appare evidente che i rischi psicosociali sono molto più forti nelle società eraclitee dal momento che i mutamenti sociali frequenti causano incertezza, imprevedibilità ed incapacità di gestire in maniera adeguata le situazioni sociali e i rapporti interpersonali. Nei prossimi anni ci saranno decisamente nuove rivoluzioni nel campo dell’interazione uomo-macchina. 

Molti ricercatori stanno studiando, attraverso tecniche avanzate di vibrazioni, alcune applicazioni in grado di simulare la sensazione fisica: un deciso passo verso una completa interazione tra la tecnologia e il mondo naturale sullo sfondo le radicali trasformazioni che investono il contesto mondiale, con la frammentazione, la precarizzazione, l’atomizzazione che lo caratterizza. Il tutto, unito alla pervasività delle nuove tecnologie, favorisce rapporti immediati e diretti tra individui, e tra individui e poteri, abolendo le barriere spazio-temporali e scavalcando le tradizionali forme di aggregazione e di intermediazione.  Siamo arrivati alla società nevrotica e frustrata della positività assoluta: dell’illimitato dover essere, ciò che possiamo essere, oltre i nostri stessi limiti. In luogo del dovere, subentra il dominio del progetto, dell’iniziativa, e la prestazione. Il dovere era ancora intaccato dalla negatività dell’obbligo. Il mondo non ha più la capacità di creare una resistenza poiché la promiscuità e l’ibridazione continua di tutte le forme, sia nell’ambito culturale che nella percezione stessa della vita, vi è una distrazione continua, un saltare da una connessione a un’altra, un continuo dileguarsi tra gli apparati tecnologici: dal telefono, alle mail, a facebook. Non c’è più spazio per la noia come “culmine del riposo spirituale”. Oltre a questa distrazione, si aggiunge anche una costante “dissociazione” dal presente: dal cosiddetto qui ed ora. Viviamo sempre in un “altrove”, in un “non qui” e in un “non ora”, rispetto al senso di realtà sviluppabile mediante l’esperienza sensoriale del presente.  Tutte queste distrazioni e salti ontologici virtuali, tutto questo essere sempre altrove e dovunque, porta a un infiacchimento della volontà e a un allentamento dell’attenzione, la quale abbisogna di esercizio e di rigore per allenarsi alla focalizzazione. La volontà a sua volta necessita di una “resistenza” per potersi sviluppare e articolare: non è semplicemente una risposta automatica agli impulsi esterni, ma un esercizio etico e comportamentale insieme, il quale richiede una opposizione capace di svilupparla in un progetto che faccia i conti con il principio di realtà, e quindi con le proprie risorse interne disponibili, motivazioni progettuali, e significati personali. Ci sono troppi stimoli da gestire, troppe comunicazioni da intercettare la densità delle informazioni, sia televisive che digitali, rappresenta un miscuglio di immagini, parole, suoni, musica, che il cervello umano, in milioni di anni di evoluzione, non ha mai incontrato in natura, e quindi non è capace di gestirlo in modo efficace. L’anima diviene consunta nella continua de interiorizzazione delle proprie funzioni complesse, come la riflessione, la contemplazione, l’immaginazione, declinate queste nelle mere prestazioni funzionali al sistema positivizzato. C’è così l’effetto di una stanchezza atomizzata, solipsistica, impotente, la quale produce un isolamento e una separazione dei soggetti, i quali, esaurite le loro energie nel tentativo sempre fallimentare di superare se stessi, ricadono sfiancati all’interno del proprio io. Un io incapace sia di guardare l’altro, sia di ascoltarlo. L’io positivizzato occupa tutto lo spazio mondano disponibile, non ha tempo né di ascoltare né di ascoltarsi. Deve produrre se stesso oltre se stesso. Ricadendo nuovamente, infine, al di qua del mondo, nelle proprie mura difensive costituite di impotenza.

Maria Ragionieri

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