
Quando penso a quello che sta succedendo in Ucraina, la parola “più gentile” che mi viene in mente per descrivere ciò che osservo nella gestione italiana, e non solo, della crisi è “inadeguatezza”. Anche prendendo le distanze da qualsiasi forma di dietrologia, resta quanto meno la percezione che negli ultimi tre anni, caratterizzati da situazioni di eccezionale gravità e pericolo per la salute e la vita stessa delle persone, abbiamo avuto al timone persone particolarmente non all’altezza del compito, di certo gravoso ma non per questo fonte di giustificazione assoluta e assolvente.
È ogni giorno più sconcertante vedere con quali personaggi siamo costretti ad affrontare questioni di altissimo rango diplomatico, dalla gestione delle quali potrebbe dipendere la vita (o la morte) di milioni di persone inermi e innocenti. E già, perché a fronte di governi e presidenti belligeranti, al limite del guerrafondaio, le conseguenze principali e più tragiche, che siano economiche o fisiche, le patiscono i cittadini. Scriveva, infatti, Paul Valéry: “la guerra è il massacro di persone che non si conoscono tra loro per conto di persone che si conoscono ma che non si massacrano”. E affinché ciò accada, ci hanno immersi nella propaganda e nelle bugie, da ogni lato, per 24 ore al giorno, talmente tanto che solo un cieco, sordo e incapace di intendere e di volere potrebbe non accorgersene. Anche in questo caso, come faceva osservare George Orwell, “una delle più orribili caratteristiche della guerra è che la propaganda bellica, tutte le vociferazioni, le menzogne, l’odio provengono inevitabilmente da coloro che non combattono”.
Incapacità o malafede, inadeguatezza o disegno maligno che sia, il punto resta sempre che la guerra la vogliono i governi prima ancora di carpire il sostegno del popolo che viene tenuto solitamente all’oscuro delle ragioni e delle manovre “in background”, esattamente mentre viene sobillato con le più incredibili e assurde ragioni a prepararsi a muoversi, ad agire o a reagire a nemici costruiti ad arte. Il fatto, poi, che chi spinge per la guerra abbia sicuramente già predisposto ogni accortezza per tenersi lontano “dai guai”, familiari e amici inclusi, lo possiamo dedurre da un noto aforisma di Erodoto che sosteneva che “Non esiste uomo folle al punto di preferire la guerra alla pace. In pace i figli seppelliscono i padri, in guerra sono invece i padri a seppellire i figli”. Con questo riferendosi sicuramente a quei figli e a quei padri coinvolti in prima persona nei conflitti, e non solo “a chiacchiere” da uno scanno del parlamento o dal salotto di una lussuosa villa con bunker.
Le contraddizioni che hanno costellato gli interventi, televisivi e istituzionali, dei governanti italiani e di altri Stati dell’UE, sono tali e tante che si fa una gran fatica a non farsi saltare connessioni neurali e coronarie. A partire dal folle cortocircuito cognitivo che caratterizza il farsi negoziatori per la pace mentre si vota e si approva di rifornire di armi e di mezzi una delle due parti (o si va a dire in tv che il presidente della nazione “x” è un atroce animale, per esempio). Lo diceva anche Albert Einstein che “Non si può prevenire e preparare una guerra allo stesso tempo”. Direi che può starci, quindi, come corollario di questo “teorema” che “non si può mediare per la pace e alimentare una guerra allo stesso tempo”.
Giampiero Ledda