Occasione di sinergia territoriale
Proseguo il viaggio nel mondo della terra cruda. Borgocapo mi attende, mi attendono i visi, le mani, gli abbracci e i sorrisi dei territori da vivere, delle terre da solcare; gli uomini e le donne dei luoghi accoglienti. Torno nei posti che richiamano l’ispirazione. Durante l’ultima ‘Festa della terra’ sono a Casalincontrada e il mio soggiorno è a Case Aceto, altra meraviglia architettonica in terra cruda, poco distante da Borgocapo. Dalla capacità di vivere e abitare i nostri luoghi, passa anche la conservazione del patrimonio materiale e immateriale delle generazioni passate, il nostro compito è conoscerlo per tramandarlo a quelle future, conservarlo, e mantenerlo vivo. Inoltre, in un clima di continui sconvolgimenti politici ed economici, si rende oltremodo necessario fare fronte comune. È la comunità che resiste, la comunità consapevole del proprio bagaglio culturale, ad essere fautrice della conservazione dei luoghi, e attraverso le relazioni, ad imporsi per il potenziamento dei servizi che si ripercuotono sulla qualità della vita. Comprendere l’utilità dei materiali di cui si dispone, come conoscere l’immensità di un patrimonio architettonico inutilizzato, significa rispondere alle esigenze reali della cittadinanza che abita il territorio, e solo in un secondo momento, a quelle del turismo. Si tratta dunque, di ‘rammendare’ la nostra storia per mantenere la terra accogliente.
“I luoghi vanno progettati e vissuti. – sostiene l’architetto Gianfranco Conti – Il patrimonio architettonico delle case di terra è un pretesto che consente di estendere la conoscenza e la valorizzazione a tutti gli ambiti territoriali che caratterizzano la nostra regione, con particolare attenzione alla zona collinare, troppo spesso lasciata in abbandono. Ed è la comunità a dover intervenire per integrare tutte le abitazioni rurali all’interno di un patrimonio culturale condiviso ed estendibile a tutte le costruzioni che arricchiscono e caratterizzano il valore paesaggistico del territorio, soprattutto di quello non urbano”. La festa della terra, in tal senso, crea connessioni e situazioni di dialogo tra la comunità, le amministrazioni e l’imprenditoria locale, contribuendo a rinsaldare un ciclo economico abitativo, poiché all’abitare corrisponde la conoscenza, e ad essa la capacità di mantenere vivi luoghi e saperi.
È proprio in questa direzione che verte la visita all’Ecomuseo di Villa Ficana. Di interesse monumentale quale unico complesso marchigiano in terra cruda risalente all’Ottocento, rappresenta uno degli esempi virtuosi di cura per il territorio, ed è inserito nel sistema museale di Macerata. Ad accoglierci, l’architetto Anna Paola Conti che ce ne illustra la storia. Si tratta di un quartiere nella città, una comunità lenta che non è stata intaccata dal caos metropolitano. Camminare tra i vicoli di questo agglomerato è un’immersione in un altro tempo, in un tempo sospeso. Il calore della terra avvolge lo spirito in un tiepido abbraccio. Sono in una dimensione più intima, raccolta, decisamente più umana. Una restituzione viva delle mani che lavorano; materia consapevole del tempo passato. Fuggo dall’incuria della società per entrare in un posto che restituisce dignità al patrimonio in terra cruda, di cui, un tempo, si aveva vergogna. Questo sentimento, la vergogna di vivere in povertà, ha spesso giocato un ruolo sfavorevole circa la considerazione dell’edilizia in terra. Di fatto erano case destinate ai contadini o agli operai, come nel caso di Villa Ficana, ed era comunemente diffuso l’accostamento tra queste costruzioni e i nidi delle rondini. Allora, la terra, aveva il colore della povertà, ma al di là delle metafore poetiche, torniamo oggi a riscoprirne l’inestimabile valore. Mutuando la conoscenza dalla tradizione, scopriamo che questo materiale, l’argilla, gioca un ruolo fondamentale nell’attuale discorso energetico: i muri delle case in terra, come quelli delle costruzioni rurali, fabbricati sapientemente con uno spessore che va dai 50 ai 70 centimetri, consentono di mantenere un microclima ideale all’interno dell’abitazione, con un minimo apporto di calore. La terra, inoltre, permette una grande stabilità della struttura abitativa, risponde cioè alle necessità di un territorio fortemente a rischio sismico. La conoscenza dei materiali e del loro comportamento permette un uso conservativo e innovativo.
Trovo, tuttavia, che oltre al valore pratico dell’argilla; le sue qualità immateriali siano da ricercare, non da ultimo, proprio in quel senso di caloroso raccoglimento che solo l’immagine del nido è in grado di suscitare. Intendo, cioè, trovare una connotazione positiva dell’accostamento di cui sopra: voglio eludere lo stato di povertà ed innalzare la capacità saldante dell’elemento terra, non solo tra gli uomini, rendendoli cooperanti, ma anche tra uomo e natura: la terra, rende l’uomo, in minima parte, inventore del proprio paesaggio. E durante il mio soggiorno sperimento direttamente quel senso di coesione sociale, di calore umano e naturale: dormire in una casa di terra mi restituisce la stessa sensazione della visita a Villa Ficana. Le sue pareti emanano il calore della materia viva, mi sento accolta, ospitata. So di non essere sola, il vento di settembre accarezza dolcemente le pareti, l’acqua disseta il terreno da cui le braccia hanno attinto per costruirle, e la notte trascorre serena.
Lo stesso senso di coesione è sottolineato anche dall’architetto Giuliano Di Menna, durante la conferenza con i Sindaci intervenuti: “La presa di coscienza del nostro territorio è un obiettivo fondamentale: va conosciuto e vissuto da noi, non soltanto dal turista. Tutte le nostre case rurali, soprattutto quelle in terra, sono state costruite con un sistema collaborativo di vicinato. Nel costruire c’era una compartecipazione attiva tra le persone. Fare la casa con le proprie mani era un processo economico pratico ma anche di carattere culturale. Rendere partecipi i cittadini nella costruzione diretta della casa, come stimolo culturale più che tecnico, e nel rispetto delle normative sulla sicurezza, potrebbe essere una rivoluzione che va nella direzione di abitare i nostri luoghi. Inoltre, trattandosi di un’architettura rurale di cui raramente si parla, va chiarito che non ci sono solo case di terra, ma tutto un patrimonio altro che va conosciuto”.
Parlando poi con Tiziano Spada, vicepresidente dell’Associazione Città della terra cruda, scopro la stessa cooperazione di cui parla l’architetto Di Menna, ma tra culture di tutto il mondo: “L’Associazione, unitamente all’Università di Cagliari, ha ottenuto diversi finanziamenti attraverso la legge 19 della Regione Sardegna: con il Mozambico, in particolare con la facoltà di architettura della città di Maputo. L’ultimo, per cui presenteremo il progetto, è con l’Iraq. Il primo finanziamento concesso interessava il Marocco, per un intervento a Figuig, alle porte del Sahara. La cittadina, costruita interamente in terra, una risorsa anche per il settore turistico, essendo un punto di transito per le escursioni nel deserto, stava per essere abbandonata e sostituita con nuove strutture in cemento e materiali di nuova costruzione. Il progetto ha permesso di salvare questo agglomerato attraverso il coinvolgimento e la formazione delle comunità locali, ed accoglie una cooperativa di giovani donne dedite alla tessitura”.
Ciò che emerge dallo scambio con gli esperti del settore e gli amministratori locali, è la mancanza, in Italia, di una continuità amministrativa, oltre che di una legiferazione univoca che permettano di agire facilmente su tutti i territori in maniera diffusa e programmata. Un manuale comune di buone pratiche da cui attingere per intervenire a tutela del patrimonio locale materiale, e che metta in connessione utenza, tecnici e imprese, garantendo ancora l’approccio cooperativo tra Regioni. “L’argilla delle colline di Casalincontrada – spiega l’architetto Conti – alimentava le fornaci toscane. In Abruzzo erano presenti centocinquanta fornaci, a fronte di due che oggi sopravvivono ancora: Picciano e Alanno. Le canne, che oggi sono ritenute un materiale di scarto, erano utili all’economia locale per l’uso agricolo, la costruzione di tetti, cesti, fibre tessili, e possono rientrare in quel ciclo economico. La paglia o la lana di pecora sono ottimi isolanti per l’edilizia, ed eviterebbero di ricorrere a materiali plastici. Parlando di transizione ecologica, si rende necessario recuperare la cultura del riciclo ragionando sul valore dei materiali”. A questo proposito, durante la festa della terra, ho la fortuna di conoscere Francesco Poli e Michele Todisco, entrambi ideatori del progetto: Laboratorio Architetture Naturali – LAN. Con loro, l’architettura dialoga direttamente con la bellezza. Ispirati dai materiali naturali, Francesco e Michele danno vita ad opere che si fondono perfettamente nel contesto in cui sono inserite; ed hanno soprattutto uno scopo pratico per l’ambiente e per l’uomo. Il concetto di LAN è basato su un’architettura organica la cui vena è tracciata dall’amore per i luoghi e per il paesaggio circostante.
Con questa retorica risulta difficile comprendere come, un tempo, potessero vergognarsi di vivere in una casa di terra. Come conciliare, dunque, antico e moderno? La risposta mi arriva da Mara Paolini, amica, e guida personale durante i giorni dell’evento. La convivenza tra passato e presente è perfettamente evidenziata dall’intonaco in cemento caduto dalle pareti esterne di un casolare in terra, poco fuori dal centro storico di Casalincontrada. È Mara a portarmi in quel luogo, perché, mi spiega, lì, regna una perfetta armonia tra l’intervento dell’uomo e il paesaggio. Ci avviciniamo alla costruzione in terra e siamo immerse nella meravigliosa valle dell’Alento. La sua visione è folgorante. L’intonaco caduto è parte della bellezza complessiva della casa. È una documentazione materiale che evidenzia il passaggio dei tempi in continuo mutamento, sottolinea il compromesso tra passato e presente e la forza di chi ha abitato quella costruzione, la resistenza, la capacità di reinventarla. Oggi, nonostante il tempo, la parete in terra rimane, scoperta a tratti dall’intonaco mancante, è la traccia degli uomini che hanno contribuito a mantenere in vita quel posto.
Virginia Chiavaroli