Medici senza Frontiere, Croce Rossa, Emergency, Unicef, sono le più conosciute, ma potrei citarne molte altre minori, come Lega del Filo D’oro e così via.
Non si può parlare di Brand soltanto nel caso di prodotti o aziende. Se ne parla per un servizio, per un luogo, per un percorso, per uno stile di vita, per un’organizzazione, se pur no-profit.
Sono Brand a tutti gli effetti.
Incontriamo per strada una ragazza che indossa una t-shirt con un “mondo azzurro e una donna che tiene in braccio un bambino, sollevandolo in alto sopra la sua testa.”
A cosa ci fa pensare? Sicuramente all’Unicef, ai bambini e alle madri dei paesi in via di sviluppo e con questa immagine anche a tutti i valori di cui si fa portatrice. Se volessimo interpretare il pensiero della ragazza incontrata sarebbe: “vorrei aiutare i bambini e le donne in tutto il mondo.” Del resto non ci sono confini per un Ente di beneficenza internazionale!
Ecco allora che già il solo logo azzurro ha comunicato con la sua immagine i valori di quest’associazione e ce li ha immediatamente ricordati con un solo colpo d’occhio.
Anche le associazioni no-profit lavorano affinché questi valori siano conosciuti e condivisi da tutti: trasmettono in primis emozioni, creano relazioni, appartenenza e condivisione di pensiero con coloro che sosterranno materialmente la loro causa umanitaria.
Per questo motivo fare Brand Marketing non è un’azione “sbagliata”. Nel caso di non-profit, anche i princìpi più nobili hanno bisogno di essere sostenuti, sempre e comunque.
E quindi #welovebranding. E rilancio: ci sono anche Brand no-profit aspirazionali, dove le loro attività non “servono” a niente se non a scuotere il subconscio alla ricerca della perfettibilità nella vita e nei comportamenti in generale.
Allora la vita è condividere valori per aiutare a vivere.
Barbara Trasatti