
IL “VIZIETTO” DEL GIORNALISMO ITALIANO, TRA LIBERTA’ DI STAMPA E REATI D’OPINIONE
Reporters Sans Frontières (R.S.F.) è una ONG che promuove e difende la libertà di informazione e la libertà di stampa, con lo status di “consulente” delle Nazioni Unite sulla specifica tematica e che ogni anno classifica l’informazione dei vari Paesi del mondo secondo un “indice della libertà di stampa” che dovrebbe riflettere sia il grado di libertà dei giornalisti e degli altri attori dell’informazione sia gli sforzi compiuti dalle autorità per rispettare tale libertà.
L’Italia, manco a dirlo, non ha mai brillato in questa “speciale “classifica, posizionandosi nella migliore delle annate al 35esimo posto (2007), fino a giungere ad un poco lusinghiero 41esimo posto, oggi. Secondo qualcuno, questo indice è frainteso perché non è sintomatico di un controllo statale su quanto viene pubblicato dalla stampa nazionale bensì “dipende principalmente dalle influenze che contribuiscono a decidere come i giornali pubblicano le notizie. (…) Le redazioni sono molto più piegate all’editore e ai suoi personali interessi di quanto non succeda” altrove, dice testualmente Michelangelo Coltelli, dal suo sito Butac.it. Ardito, provare a sganciare “influenze” genericamente definite, dai referenti politici e dai gruppi di potere che ne agevolano l’insediamento nei posti di comando, ma questo è il suo punto di vista.
Che dire allora di quanto sta accadendo alla libertà di stampa e di espressione in questa cupa era pandemica, dove si sono aggiunte anche generose iniezioni di contributi e finanziamenti statali mirati ad una malcelata propaganda? E pensare che, in Italia, ci sono stati coraggiosi giornalisti ed editori che, insieme a importanti attivisti per i diritti umani e civili, hanno fatto la storia dell’informazione libera e della controinformazione. Basti pensare a Marcello Baraghini, editore, attivista e fondatore di Stampa Alternativa, da oltre 50 anni al servizio dei “reietti dell’editoria, dei dannati della Terra”, in grado di puntare sempre dritto alla sostanza delle questioni, mettendo in secondo piano le conseguenze, anche legali, pur di raccontare verità scomode, toccare argomenti tabù, in una parola dare spazio alla verità anche quando questa non porta nessuna convenienza e nessun vantaggio materiale e personale. Del resto, aver collezionato, con le proprie iniziative editoriali, 127 denunce legate a reati di opinione, è un segno evidente della stoffa di Baraghini quanto della posizione meschina e meritata (in classifica, si intende) della libertà di stampa in Italia.
Sandro Scarpitti