Noi non ci invitiamo l’un l’altro per mangiare e bere semplicemente, ma per mangiare e bere insieme – Plutarco
L’idea di cibo si collega volentieri a quella della Natura, ma il nesso è ambiguo e fondamentalmente improprio. Nell’esperienza umana i valori portanti del sistema alimentare non si definiscono in termini di “naturalità” bensì come esito e rappresentazione di processi culturali che prevedono l’addomesticamento, la trasformazione, la reinterpretazione della Natura. “Res non naturalis” definirono il cibo i medici e i filosofi antichi, a cominciare da Ippocrate, includendolo tra i fattori della vita che non appartengono all’ordine “naturale” bensì a quello “artificiale” delle cose: alla cultura che l’uomo stesso costruisce e gestisce. Tale connotazione accompagna il cibo in tutte le epoche, a partire dalla preistoria, lungo il percorso che lo conduce alla bocca dell’uomo. Esso si configura così come elemento decisivo dell’identità umana e come uno dei più efficaci strumenti per comunicarla.
Il cibo entra nel testo letterario in senso stretto in quanto prodotto, ricetta, tavola apparecchiata, ma anche in senso più ampio come universo alimentare rappresentato in relazione alle coordinate spazio-temporali in cui si colloca, le norme sociali e prescrittive da cui è regolato, i luoghi, i tempi, le modalità della preparazione e della consumazione, le valenze simboliche e le implicazioni culturali che lo connotano.
Un aspetto tipicamente intrinseco alla natura umana che riguarda l’uomo nella sua natura e che in maniera particolare connota l’italianità è il cibo e la tavola, ossia la convivialità. Il percorso si muove dall’analisi delle funzioni rappresentative del banchetto nella letteratura con particolare focus sul romanzo novecentesco per dirigersi verso le forme di rappresentazione, siano esse immagini o performance, dell’arte contemporanee.
Il banchetto può costituire esso stesso l’oggetto e la materia di una rappresentazione, come nel caso della semplice descrizione e messa in scena del pasto, o può servire al condizionamento della struttura narrativa, può fornire riferimenti a consuetudini conviviali di un tempo o di un territorio determinati o servire all’autore per tratteggiare e rendere visibile il carattere dei personaggi, può divenire una forma di comunicazione interpersonale, come se fosse un linguaggio non verbale, può assumere un significato metaforico, mediando contenuti diversi e simbolici, può, ancora, costituire il campo semantico da cui l’autore attinge per le scelte lessicali e stilistiche della scrittura. Il riferimento al banchetto, come tutto ciò che ha a che fare e che rientra nell’universo della convivialità, dai prodotti offerti, al contesto in cui vengono serviti e consumati, ai luoghi e ai tempi di consumazione e di preparazione, alle norme che regolano gli uni e gli altri rientra a pieno titolo nell’analisi proposta. I cibi dunque, ma anche le buone maniere a tavola, le tradizioni gastronomiche, gli usi e i costumi alimentari, diventano una possibile chiave di lettura e di interpretazione della contemporaneità e dell’uomo che ne fa parte dentro un umanesimo di ritorno arricchito da nuovi sensi di consapevolezza e coscienza che si sviluppano e che si servono delle nuove tecnologie a disposizione per circolare ed alimentarsi.
Il cibo, se da una parte è essenzialmente nutrimento, sostentamento, bisogno, dall’altra parte è fondamentalmente cultura, sovrastruttura, pensiero. Il Belpaese, il nome stesso lo dice, evoca uno stile di vita che in tanti ci invidiano, gli Italiani sono innamorati del cibo — soprattutto di quello buono — come forse nessun altro popolo al mondo. Di questo amore fanno continuo vanto, esprimendolo in ogni occasione, l’Italia la nazione in cui l’alimentazione assume una centralità ed una rilevanza economico-sociale che non ha eguali. Tutto questo, che apparentemente si mostra come l’espressione del costume di un Paese in un dato momento storico e che può addirittura sembrare un folcloristico modo di approcciare la tavola, ha generato nel tempo un fascino irresistibile, per chi, lo Stivale, lo guarda da fuori. Infine, ma non per ordine di importanza è comprendere la valenza sociologica del cibo. Secondo una antropologa, infatti, il comportamento di consumo non è altro che “agire sociale dotato di senso”, il quale risulta non più meramente utilitaristico, bensì sociale e comunicativo il cibo, dunque, è un vettore comunicativo capace di veicolare informazioni riguardanti lo status, il ruolo, l’età, il genere e la personalità di un individuo e che, quindi, andando al di là della mera funzione nutrizionale crea forme di aggregazione, prima di tutto familiari e poi sociali. Consumare un pasto e condividerlo con gli altri è una pratica rituale che, ripetendosi nel tempo, forma il modello culturale di una data società, infatti, “il cibo è un modo per esprimere le relazioni sociali, ma è anche un mezzo per contribuire a crearle e rafforzarle. Poiché è la relazione che struttura la vita e ogni discorso intorno ad essa ed è sempre la relazione che si costituisce come progetto e strumento di ogni progetto e, soprattutto, poiché non c’è vita umana che non sia vita relazionale ed è ancora la relazione che, se pure negata, delusa, ricacciata, continua a definire l’esistenza/essenza anche del più isolato degli uomini, occorre aver cura delle relazioni ed educare ad averne cura, perché noi siamo relazione.
Pizza, pasta, olio, la buona tavola salutare e gustosa, la gioia della convivialità, l’ospitalità come valore sociale: sono tutti elementi che contribuiscono al successo del nostro modo di vivere, fanno scegliere l’Italia come meta da parte dei turisti di tutto il mondo, sono una voce importante delle nostre esportazioni, si presentano come un antidoto alla crisi, dunque, sedersi a tavola per un Italiano significa compiere delle scelte che vanno ben al di là del semplice nutrirsi e che coinvolgono la sfera emotiva ed affettiva la tavola intesa come momento di condivisione e convivialità: ovvero quello che gli esperti hanno definito ‘Italian way of fooding’. Sintesi perfetta tra l’ambiente culturale e l’organizzazione sociale, che si concretizza nella convivialità di un pasto a tavola, si vivono esperienze che vanno ben al di là della semplice alimentazione è anche un momento di dialogo e di confronto .
Ma la condivisione è un animale in estinzione, in un mondo social e web connesso, siamo sempre più soli. A tavola invece, riusciamo a vivere le tradizioni, con l’opportunità di far rinascere la nostra società attraverso la condivisione. Il cibo come mezzo per parlare di noi, della storia dei nostri prodotti, per darci i tempi di una conversazione, di uno spazio di discussione, di argomentazione, di insegnamento, mangiare attorno alla tavola, centro nevralgico della socialità. La condivisione del cibo in famiglia, in occasione di determinati avvenimenti sociali o nella quotidianità, introduce le persone nella comunità, le rende membri della stessa cultura, le mette in comunicazione fra di loro. Il dono del cibo getta un ponte tra noi e l’altro e in tutte le società ha sempre avuto un peso rilevante nelle dinamiche sociali. La parola “convivio” rimanda etimologicamente a “cum vivere”, cioè ‘vivere insieme’. Mangiare insieme è un modo per trasformare il gesto nutrizionale dell’alimentazione in un fatto eminentemente culturale. Ciò che si fa assieme agli altri, infatti, assume un significato sociale, un valore di comunicazione, che, nel caso del cibo, appare particolarmente forte e complesso, data l’essenzialità dell’oggetto rispetto alla sopravvivenza dell’individuo e della specie.
Il cibo come segno di solidarietà nazionale, la pasta per gli Italiani, soprattutto all’estero, non è solo un alimento ma anche un modo per recuperare e riaffermare la propria identità culturale, della propria storia e della propria cultura. Anche le modalità di assunzione del pasto possono, di per sé, risultare significative, il banchetto di festa non è una colazione di lavoro, non solo dal punto di vista tecnico ma anche sul piano simbolico.
Il cibo pone l’accento sulle differenze tra gruppi, culture, strati sociali e serve a rafforzare l’identità del gruppo stesso, a distinguere noi dagli altri. Adesso l’alimentazione è solo uno dei tanti modi per delimitare barriere ideologiche, etniche, politiche, sociali o, al contrario, uno dei mezzi più utilizzati per conoscere le altre culture, per mescolare le civiltà e per tentare la via dell’interculturalismo.
Maria Ragionieri