
I valori possono essere concettualizzati come una gerarchia semplice e lineare. Tra essi esiste un ordine di priorità definito tramite un processo cognitivo, che implica il confronto tra coppie di essi, influenzato a sua volta dalla personalità soggettiva, dal grado di socializzazione, dall’ambiente sociale e culturale.
I valori possiedono quelle doti di astrattezza attraverso cui è possibile comprendere il comportamento umano e le sue motivazioni in modo molto più profondo. La mitezza è un seme efficace piantato nel terreno della storia per il progresso, per la pace, per il rispetto della dignità di ogni persona. La mitezza vince la forza e l’aggressività del male, come l’Agnello nell’Apocalisse con la sua mitezza vince contro il potere della violenza e della morte, la mitezza è compagna inseparabile dell’umiltà.
La cultura di oggi non porta affatto alla mitezza. Al contrario, dando valore alla violenza, al ricorso alla forza, all’esaltazione di sé, la disprezza, la considera debolezza di carattere e la mette in ridicolo per convincersi ancora di più di aver ragione. Tuttavia, Gesù, nel suo “Discorso della montagna”, la propone e invita ad assaporare, se vogliamo seguirlo, la bontà di vivere la mitezza e promette in cambio – “Beati i miti, perché erediteranno la terra” – il Regno dei cieli, la felicità eterna. La mitezza, come l’umiltà e la benevolenza, non è un comandamento o un insieme di regole, ma una virtù; a differenza della remissività, non contempla la propria impotenza ma è forza attiva nella sua massima concentrazione. La mitezza non è dunque neppure il contrario del rigore e della severità nell’applicare le leggi è il contrario della “prepotenza”, in quanto «unica suprema “potenza” ecco dunque che la mitezza non è indulgenza né mansuetudine, ma nemmeno remissività, soprattutto, però, la mitezza non è l’umiltà.
Il termine “mite” deriva dal latino Mitis ,“tenero, maturo” e connota la persona che ha carattere dolce e umano, disposto alla pazienza e all’indulgenza.
Il mite, quindi, si pone in maniera antitetica a tante tipologie umane con cui ogni giorno veniamo a contatto. Il mite, come già detto, non è un arrogante né un prepotente, non è neanche un “remissivo” o un umile. L’umile può essere considerato un testimone, nobilissimo e senza speranza, di questo mondo, il mite, invece, è l’anticipatore di un mondo migliore. La tolleranza ha, infatti, sempre limiti, per così dire, obbligati e prestabiliti, la mitezza è “una donazione senza limiti”. La mitezza porta, con sé, la semplicità, se non si è semplici, non si può essere miti. Ma semplicità non è ingenuità. Certo, non è facile essere miti nel rapportarsi con gli altri, anche e in particolare con gli uomini spesso “gommosi” delle Istituzioni e del Potere. La profondità concettuale della mitezza sta proprio nella sua “provocatio” e nel suo essere una virtù che propone un nuovo “abito” comportamentale per contribuire a rendere più abitabile e vivibile “questa aiuola che ci fa tanto feroci”, essere miti significa rifiutare l’ingiustizia e la violenza, mantenendo la calma, sforzandosi di leggere la realtà con equilibrio e dispiegando altresì disinteresse, generosità, solidarietà, integrità morale infatti è una virtù che tende ad andare in profondità e si presenta come virtù sociale e acquista valore ed evidenza solo alla presenza dell’altro.
Che cos’è la mitezza? È la capacità di mettere un limite alla propria forza, mostrandosi così veramente forti, la vera forza è quella di colui che sa limitare la propria forza. Essere più forti della propria forza: questa è la mitezza. L’uomo è chiamato ad esercitare un dominio sulla sua forza. Non esibire la forza in ogni modo: questa è la mitezza, la vera forza umana. La mitezza è il dominio dominato.
Chi è quindi il mite? È colui che non si irrita davanti al male e non si lascia trascinare dalle emozioni violente. Egli sa dominare e imbrigliare le proprie reazioni, soprattutto la collera e l’ira. La sua mitezza non ha tuttavia niente da spartire con la debolezza o la paura. Non è connivenza col male o con l’omertà. Al contrario, essa richiede una grande forza d’animo, dove il sentimento del rancore e della vendetta cede il posto all’atteggiamento energico e calmo del rispetto degli altri, porgere l’altra guancia, fare del bene a chi ci fa del male, dare il mantello a chi ci chiede il vestito… come dice la religione. Chi vive la mansuetudine è beato, fin da ora, perché già da ora sperimenta la possibilità di cambiare il mondo attorno a sé, soprattutto cambiando i rapporti. In una società dove spesso impera la violenza, l’arroganza, la sopraffazione, egli diventa segno di contraddizione e irradia giustizia, comprensione, tolleranza, dolcezza, stima dell’altro, la terza beatitudine definisce la mitezza come via per la felicità. La mitezza sembra una virtù scomparsa nella nostra società, diventata competitiva e aggressiva. Essere miti significa avere una grande padronanza di sé: essere sicuri delle proprie idee, soprattutto non avere paura né delle circostanze, né delle persone. Purtroppo, nella solitudine in cui il mondo moderno costringe a vivere, la paura e la diffidenza la fanno da padroni. Le relazioni familiari se fossero improntate a mitezza, risulterebbero più umane, più efficaci. Essere aggressivi e superbi indispone e mette in difesa chi ascolta.
Il sapiente Siracide consiglia l’atteggiamento della modestia, una virtù dimenticata e non più insegnata., il mondo patinato dei vip e delle star del cinema e dello sport non sa nemmeno che cosa sia la modestia e veicola stili di vita al di sopra delle individuali possibilità… Ecco, allora, che le parole del Siracide sembrano inattuali, fuori dal mondo. La guerra in Ucraina è una brutale smentita delle parole di Gesù: «Beati i miti perché erediteranno la terra». In Ucraina… i carri armati e le bombe sono il mezzo per guadagnarsi la terra e probabilmente alla fine se si vorrà ottenere la pace qualche pezzo di terra dovrà essere diviso secondo accordi d’intesa. “Beati i miti” come coloro che sono famosi, i miti sportivi, cinematografici… forse non sono proprio questi i miti di cui parla il Vangelo… Ma allora chi sono? Tra tutte le beatitudini questa sembra quella rivolta alle persone meno incisive nella società l’uomo mite”, afferma Bobbio, non ama la competizione, le gare, la rivalità. Egli vorrebbe vivere una vita in cui non esistano né vincitori né vinti.
Maria Ragionieri