Kant sembra suggerire che la nostalgia sia un desiderio puerile che può essere superata soltanto entrando nella maturità. Non è da trascurare, in questa prospettiva, il riferimento kantiano alla categoria di persone che sarebbe più soggetta a soccombere alla nostalgia: non certo gli «uomini occupati negli affari» che possono spostarsi e girare il mondo e che «fanno proprio il motto patria ubi bene», ma la gente povera costretta a rimanere in villaggi isolati, chiusi all’interno di un mondo fatto di legami familiari. La nostalgia, quindi, è collocata nell’immaginazione e in particolare sotto la “facoltà sensibile di inventare delle affinità”. L’immaginazione ha il potere di illudere perché l’uomo «crede di vedere e di sentire fuori di sé quello che soltanto ha in testa». Kant continua scrivendo che «siccome l’immaginazione è più ricca e feconda di rappresentazioni che il senso, così essa, quando subentra una passione, viene ravvivata più dall’assenza che dalla presenza dell’oggetto». L’immaginazione, all’interno della quale la nostalgia è catalogata, ha la forza di rendere presente ciò che, in realtà, è assente; anzi è ravvivata proprio da quest’assenza. Pur allontanandosi dal luogo e dall’oggetto del desiderio, proprio la sua assenza – aiutata dalla distanza – sarà uno stimolo per l’immaginazione per trasgredire l’oggetto e il mondo con cui è familiare. Arthur Schopenhauer, diversamente da Kant, insiste sulla dignità filosofica del desiderio nostalgico: il tempo ci inganna indossando la maschera dello spazio crediamo al desiderio di voler ritornare in un luogo lontano, mentre in fondo abbiamo soltanto nostalgia del tempo trascorso là, quando eravamo giovani e in fiore».
Ma il desiderio di tornare all’epoca in cui “eravamo giovani e in fiore” non è soltanto una vuota speranza puerile. Il ricordo degli anni dell’infanzia è sempre venato di nostalgia, rappresenta un’età “beata” perché «nella nostra infanzia ci comportiamo in un modo più conoscitivo che volitivo». La «beatitudine nel primo quarto della nostra vita» rappresenta davvero il nostro «paradiso perduto». La nostalgia mette in evidenza il desiderio di liberarsi temporaneamente dal sistema completamente sviluppato della volontà soggettiva che caratterizza l’età adulta: «nell’infanzia abbiamo soltanto pochi rapporti e piccole esigenze, la nostra volontà viene quindi scarsamente sollecitata: la maggior parte del nostro essere si schiude quindi alla conoscenza» Gli anni dell’infanzia, infatti, sono una “continua poesia”: il bambino ha l’abilità poetica che caratterizza tutte le arti, ha una capacità di “vedere” che gli adulti hanno perso.
La nostalgia in reazione alla perdita dell’oggetto amato – sia esso la patria, l’amore o l’infanzia – richiama, infatti, la struttura stessa della psicoanalisi che riporta alla memoria, come conditio sine qua non dell’autonomizzazione, una serie ininterrotta di separazioni a partire dalla nascita e dallo svezzamento. Sono queste separazioni reali, immaginarie, simboliche e il dolore che ne consegue che strutturano necessariamente la nostra individuazione. Freud stesso avvicina la nostalgia all’esperienza amorosa. Se, infatti, ogni investimento amoroso avviene sul modello dell’attaccamento al seno materno, l’amore non è altro che un incessante tentativo di tornare alla propria heimat, al proprio ambiente familiare, alla propria patria originaria. La nostalgia è un «accesso al luogo in cui ognuno ha dimorato un tempo e che anzi è la sua prima dimora» : il corpo materno. Il desiderio nostalgico, così, si ricollega facilmente al desiderio infantile di fusione con la madre, al desiderio di tornare nell’utero materno. A Freud rinominerà il concetto di nostalgia proprio analizzando l’atteggiamento del bambino molto piccolo che sperimenta la temporanea scomparsa della madre. Il sentimento provato per l’assenza della madre è il primo vissuto che dà vita al sentimento nostalgico nel ritmo del tempo come presenza e assenza, tra il ritorno dell’oggetto amato e la sua permanente sparizione. Il neonato non sa se la madre tornerà dopo gli allontanamenti e inizialmente vive il dolore della perdita come se dovesse non vederla più. Ma dopo le prime esperienze di sparizione e successivo ritorno, il bambino «impara un anelito non accompagnato da disperazione»: la nostalgia. La nostalgia come desiderio esistenziale e pervasivo del “paese natale” si configura, al di là dell’aspetto patologico, come una complessa metafora della vita che non si limita a idealizzare il passato e a voltare le spalle al presente, ma a desiderare nascite sempre nuove. La nostalgia contrappone al tempo che passa e che distrugge la figura ideale di un luogo che resta.
La nostalgia non è il rimpianto. E anzi è proprio grazie alla forza propulsiva di questo stato d’animo che possiamo, riscoprendo pezzi e frammenti del nostro passato, guardare al futuro con più serenità. Con più ottimismo.
Dunque, per non sprecare la bellezza della nostalgia basta abbandonarsi al suo flusso. Al suo manifestarsi attraverso un oggetto evocativo, un luogo entrato stabilmente nella nostra vita, una persona con quale continuiamo, anche nella distanza, ad avere un legame. Si può godere del piacere della nostalgia a qualsiasi età, evitando di lasciarsi trascinare nella trappola di chi prova a bollarla come il gusto per il retrò, per ciò che è passato e non torna quindi, a qualsiasi età, per coltivare questo dolce, talvolta struggente, ma assolutamente vitale, stato dell’animo. Qualcosa che sentiamo dentro, e magari reprimiamo per la paura di essere appunto bollati e censurati come “nostalgici”, ma è giusto non cadere nella trappola di un’esistenza impastata di ricordi, ma è altrettanto prezioso godersi tutto il sapore, il piacere, la gioia e l’emozione della nostalgia. Sentimenti bellissimi, da non sprecare. Eppure il “vivere sempre e solo nel ricordo” non è e non può essere classificato come l’equivalente della nostalgia. Con questo sentimento, infatti, scendono in campo, arrivando nella testa e nel cuore, la memoria e il piacere di ricordare persone, luoghi, atmosfere, profumi, sensazioni. Pezzi piccoli e grandi della nostra vita. Percorsi fatti e da fare. Ricami del vissuto quotidiano. A quel punto la nostalgia, con il suo bagaglio di ricordi, ci accompagna, prendendoci per mano, nel presente ancorato alla memoria del passato e negli slanci verso i sogni e i desideri vitali del futuro. Diventa un attrezzo di quella cassetta che migliora i nostri stili di vita, e la nostra rincorsa verso la serenità, lo stare bene dentro prima che fuori. Eppure della nostalgia abbiamo bisogno come dell’ossigeno. Ci porta nel limbo della memoria, del ricordo, di un passato che poi ci ritorna sempre sotto mentite spoglie. La nostalgia profuma di vita autentica, e ci concede l’autodifesa di una palpitazione del tempo al riparo dalla fretta, dal continuo correre e scorrere. Un antibiotico naturale contro vite caotiche rischiano di smarrire il senso. Una società prigioniera del presente non progetta futuro e non ha memoria del passato. Cova rancori e paure, riuscendo solo ad adattarsi: al desiderio sostituisce la voglia, al progetto l’annuncio, alle passioni le emozioni. Diventa una società rattrappita. La schiavitù del presente è una forma di asservimento contagioso, una patologia che ha portato perfino a un mutamento antropologico: nella vita privata, nella sfera dei sentimenti, delle relazioni, dei rapporti umani, e nella dimensione pubblica, dalla politica all’economia, dalle istituzioni alle imprese. Il presentismo condensa l’aria del tempo. Ratifica il primato della tecnologia senza umanesimo e della finanza senza redistribuzione della ricchezza. Assembla il virtuale in un’eterna connessione, e rende opaco il reale, fino a farlo sfumare. Ma da questa schiavitù, si può uscire, se partiamo dalla consapevolezza di quanto siamo ormai scollegati dal passato e dal futuro. E come diceva Camus “il senso della vita è resistere all’aria del tempo”.
In realtà la nostalgia è ancora presente, dal momento che è un sentimento utile affinché le persone possano mantenere la propria identità anche di fronte ai passaggi importanti che segnano le discontinuità del ciclo di vita ad esempio, il cambiamento di identità dall’infanzia alla pubertà, dall’adolescenza all’età adulta, dall’essere single all’essere in coppia, dall’essere coniuge all’essere genitore. La nostalgia dà il senso della continuità. Il rimpianto è la versione cognitiva dell’emozione della nostalgia, in quanto comporta memoria e consapevolezza: è una nostalgia che ricorda il passato, ma con la consapevolezza che è ormai irrimediabilmente perduto e che è pieno di occasioni perse.
Il sentimento della nostalgia può aiutare le persone a gestire meglio il futuro: permette di riflettere infatti sulle esperienze passate, come una risorsa di coping, e usare queste esperienze come un modo per affrontare le ansie relative al futuro, per mantenere l’equilibrio nei momenti di crisi, ricordare le relazioni d’amore, e in generale appoggiarsi ai punti luminosi del passato.
In questo senso la nostalgia potrebbe essere considerata un meccanismo di difesa, un modo per mantenere la resilienza durante periodi di ansia, disperazione e sofferenza esistenziale.” Il senso della vita è resistere all’aria del tempo”.
Maria Ragionieri