Le tappe più importanti nella storia di una comunità assurgono spesso al rango di feste: in cui i membri celebrano il percorso e le particolarità dei traguardi raggiungi. Avviene per le Nazioni, ma è una prassi rintracciabile nelle realtà strutturate più piccole, come in quelle puramente movimentiste. Il tratto distintivo è l’uomo che racconta la sua storia e insieme quella che lo accomuna ai suoi simili. Sistematizza le sue azioni, si fa esempio e questa è la sua forza: dai primi insediamenti umani, dalle tracce che hanno lasciato, fino a quando il raccontarne la storia non è diventata una vera e propria attività: quella storiografica, che ne sottende tante altre, tutte umanissime.
La storia umana è necessariamente cronologica e se questa non è la sede per addentrarsi nel dibattito interessantissimo di come tutto sia iniziato, potrebbe invece essere quella giusta per si ripercorrerne una parte piccola: un aspetto della storia dell’ambientalismo. Inteso quest’ultimo come quel movimento capace di coinvolgere i membri della comunità ad adoprarsi per il bene del Pianeta. Ma anche in questo caso – anche se in questa rubrica negli anni ne abbiamo parlato svariate volte in ogni accezione – non ci interessa tanto l’inizio del movimento ambientalista mondiale, quanto la specialissima vocazione comunitaria che permea le manifestazioni ambientaliste di questo XXI secolo: i Friday For Future.
In primis in virtù della loro origine: sono nati in seno alla comunità formativa per eccellenza, la scuola. Poi, gli scioperi per il clima, che interessano praticamente la comunità scolastica – liceale, occidentale e ricca – hanno mostrato subito una forza propagatrice intrinseca. Li abbiamo visti mutare dalla protesta singola della loro ideatrice, Greta Thunberg, al coinvolgimento di tutta la sua generazione. Dal grido isolato della leader iconica – con il suo banco di scuola e il suo cartello sostenibilissimo – alle manifestazioni coloratissime e rumorose che il venerdì riempiono le nostre città. E che hanno il pregio indiscusso di stimolare il dibattito pubblico: o gli SDG’s sarebbero rimasti semplicemente un acronimo per addetti ai lavori.
E invece, la straordinarietà del movimento è stata quella di sapersi tradurre in azioni quotidiane, in sensibilizzazione – assai maggiore di qualsivoglia attività celebrativa delle associazioni non governative, anche le più influenti – in good news. Anche se l’appello era perentorio, ai governi, ai potenti, l’evoluzione ambientalista ha saputo farsi sistemica e non solo legata ad emergenze e disastri. Porta con sé un cambiamento di paradigma culturale, capace di imprimersi in moltissimi settori. Anche quelli che sono arrivati per ultimi a questa rivoluzione contenutistica, si sono impegnati seriamente e non solo per puro benchmarking competitivo. Basti guardare alla moda, dove per anni anche i grandi marchi del lusso hanno delocalizzato in barba alle condizioni dei lavoratori, all’impatto ambientale e al costo sociale, e che oggi hanno virato sensibilmente verso un’attenzione spasmodica alla loro impronta sul pianeta. Tutti orientati alla filosofia pioneristica della mitica Vivienne Westwood – “Buy less, choose well, make it last”- che oggi appare più che mai ispirazione sistemica, in difesa del nostro futuro. In difesa della comunità umana che abita il Pianeta.
Angela Oliva