Empatia … green

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Essere ambientalisti va ancora di moda? Oppure nel tempo della resilienza uber alles è più una questione di empatia? Quelle posizioni ideologiche capace di orientare la vita non esistono davvero più? E quindi è più giusto magari parlare semplicemente di empatia. Magari GREEN.
Che detto così suona come il titolo di una serie TV della generazione Z: dallo spirito anglofono, alla ricerca di futuro e stanca dei disaster movie di chi l’ha preceduta. 

AAA – che fine ha fatto l’ambientalismo? Il vecchio e buono spirito ambientalista, delle battaglie per il nucleare, dell’attivismo per le spiagge pulite, della raccolta dei rifiuti è ormai sostituito dal ben più empatica e modaiola sostenibilità. In realtà l’ambientalismo ha radici più antiche delle battaglie mediatiche dello scorso secolo. In Occidente nasce a cavallo tra il XIX e il XX secolo in quell’epoca che culmina con la belle époque e la sensazione di un mondo grato e gaudente del e nel suo stato di benessere materiale. La rapida e pervasiva industrializzazione ottocentesca pose alla società e agli studiosi per primo non tanto il tema dell’inquinamento, specie vicino alle fabbriche e quindi spesso in città, quanto quello delle risorse. I rifiuti erano il prezzo collaterale del progresso e chi poneva la questione non suscitava alcuna simpatia. È invece il pensiero di Thomas Malthus a farsi strada quando pone per primo la questione del limite possibile di questo progresso nella scarsità delle risorse. La tipica e annosa diatriba connessa alle materie prime che stiamo vedendo chiaramente anche nel conflitto in corso tra Ucraina e Russia. Non era ancora maturo il tempo della valutazione dell’impatto dello sviluppo economico sull’ambiente, in termini di danno, né tanto meno sull’uomo stesso in termini di salute.

Su queste prime riflessioni – poco più che analisi del fenomeno – attecchiscono le radici filosofiche del fenomeno ambientalista, che sarà nel 900 prettamente sociale e di massa come i tempi esigevano. Soprattutto dagli Anni Sessanta del Novecento, con connotazioni e tematiche diverse, spesso dettate dall’urgenza e dai periodi, la sensibilità green si è diffusa praticamente globalmente, fino ad arrivare alla capacità di influenzare scelte strategiche di tipo energetico, condizionando alleanze, affari e inasprendo non pochi conflitti. Aggiungendo poi le fortunatissime esperienze politiche capaci di portare i partiti di ispirazione verde stabilmente nelle assemblee legislative mondiali e financo al governo in alcuni paesi. Su tutti in Germania.

La sostenibilità è ambientalismo? Oggi il paradigma è completamente cambiato, perché come nel suo piccolo esplora questa rubrica la tematica della salvaguardia è diventata centrale. Siamo passati da gruppi ambientalisti (anche tramite le grandi proteste) capaci di condizionare – di lobbistica memoria – alla capacità di orientare, assai più pervasiva. Scegliere se comprare un oggetto sulla base dell’impegno green del brand (meglio ancora se combinato alla charity) appare sempre più diffuso. La sostenibilità meno radicalizzata, ci appartiene di più, ci fa sentire più coinvolti. In una parola si comunica meglio e ci fa sentire sempre più empatici, verso l’ambiente e solidali con gli altri. Orgogliosi ed empatici, green…

Angela Oliva

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