Alzi la mano chi non ha atteso (o guardato la mail con apprensione per chi evita l’invio del cartaceo nel rispetto della natura) controllando l’arrivo della prima famigerata bolletta di luce e gas del 2022. Il tema del rincaro in primis su queste utenze ha avuto talmente tanta eco sui media, che ormai è paragonabile quasi alla sventura di una cartella esattoriale. E per giunta in molti si sono dovuti cimentare in uno sforzo ulteriore: capire come mai questa “benedetta” Ucraina sia così centrale per i destini della supremazia russa negli affari del gas. Con tanto di full immersion per provare a conversare sulla questione del Donbass, e poter usare non a sproposito l’espressione del momento: de-escalation. “Sperem!” per dirlo alla milanese.
Perché una cosa è chiara a tutti, dalla mole di incontri bilaterali di questi giorni: da lì passa una grande parte delle sorti dell’Europa e della ripresa dell’Italia post pandemia. Se scoppia la guerra, addio crescita, rimbalzo, effetto Draghi e non sono pochi gli spettri all’orizzonte. Sono tornati pesantemente al centro della riflessione nell’opinione pubblica alcuni punti. Primo la questione energetica: praticamente una telenovela infinita nel nostro Paese, fatta di colpi di genio manageriale, che ormai risalgono alla notte dei tempi – l’Eni di Mattei – e ad oggi qualche buona intuizione da convegno, o poco più. Non abbiamo materie prime e questo è arcinoto a tutti. Basta essere andati al distributore a fare rifornimento questa settimana per aver visto i prezzi di benzina, diesel a Gpl. Lo sfondare quella soglia psicologica delle due euro è un serio campanello d’allarme, forse il più importante per il piccolo consumatore. L’aumento dei prezzi al consumo dei beni fondamentali è evidente in ogni realtà: piccola, media, GDO. E lo dimostrano le campagne dei grandi marchi per rassicurare che non ci saranno aumenti. La spirale inflazionistica, temutissima, potrebbe far tornare gli italiani a fare la spesa mirata sulla base delle offerte e dove conviene davvero di più. Senza contare la preoccupazione che l’attuale visibile aumento si possa trasformare in una vera e propria spirale inflazionistica, dovuta sostanzialmente all’esplosione dei costi proprio delle materie prime in tutto il mondo. Su cui si innestano le preoccupazioni per gli approvvigionamenti in generale.
E così si arriva dritti al secondo punto: la questione della politica industriale di questo Paese, che ormai appare ben al di sotto delle preoccupazioni da salotto. L’Italia, sempre che Draghi regga – visti i chiari di luna parlamentari dell’ultima settimana – sta eseguendo il compito del PNRR da scolaro diligentissimo. Ma l’orizzonte temporale è assai breve. Ci sono degli interi settori e cospicui indotti che creeranno a causa della transizione ecologica un serio problema occupazionale. Che ne sarà dei 70 mila italiani (e famiglie) impiegati nel settore auto con la spada di Damocle della dismissione del motore a benzina, diesel e metano nel 2035?
Il terzo punto è che la classe politica deve imparare a respirare oltre l’orizzonte della scadenza elettorale. Troppo comoda la campagna elettorale perenne fatta di talk show, felce e social. L’orizzonte di Draghi non è eterno: nel 2035 il presidente del Consiglio avrà 88 anni e la politica deve prendere coscienza che pur augurandogli lunga vita, non sarà la soluzione per tutto.
Angela Oliva