Cos’è il ghosting che non fa bene all’autostima
Diciamo la verità: nessuno o quasi, sfugge al ghosting. Nato intorno al 2000, affermatosi nel 2010, con i social questo termine è diventato una pratica comune. Dall’inglese “ghost” ovvero fantasma, indica la pratica di interrompere tutte le comunicazioni e i contatti con un amico, con un partner (personale o di lavoro) senza alcun motivo nè avvertimento. Ma perché succede? Forse perché è la via di fuga più facile da adottare ma non la più giusta.
Sparire senza dare spiegazioni evita il confronto, l’assunzione di responsabilità con la conseguenza che la società dalle relazioni sempre più digitali, si avvia verso l‘astensione al contraddittorio.
Secondo un sondaggio apparso già nel 2016 sul sito di incontri Plenty of Fish, su 800 utenti di età compresa tra i 18 e i 33 anni ben l’80% aveva subito almeno un’esperienza di ghosting, ritrovandosi cioè da un momento all’altro a non ricevere più nessuna notizia da parte del partner. Il trend negli anni è evoluto assumendo forme nelle quali sicuramente ci siamo imbattuti… o le abbiamo praticate! Il mosting ad esempio è l’ atteggiamento di chi, dapprima sprigiona affetto poi raffredda i toni e interagisce sempre di meno; il blue-stalling è l’atto di stare insieme a qualcuno senza riconoscerlo e ufficializzarlo fino in fondo , lo zombieing è tipico di chi si fa risentire come se niente fosse dopo un lungo allontanamento, l’orbiting è un ritorno amoroso ancora più subdolo per non parlare dell’ haunting, che porta gli ex a riemergere insistentemente tramite like, visualizzazioni e altre reaction online.
Non facciamo in tempo a smascherare questi comportamenti che sbuca il breadcrumbing letteralmente “lanciare delle briciole” un meccanismo per il quale, citando il dizionario inglese MacMillan, “qualcuno invia messaggi o lancia segnali che suggeriscono interessamento, mentre in realtà è sottintesa la reale intenzione di non iniziare una vera relazione”. Nel 2019, il New York Times lo ha quindi efficacemente definito una “agonia dell’attesa digitale”, un circolo vizioso in cui a fasi di vivo coinvolgimento se ne alternano altre di assenza prolungata, che terminano solo quando il cosiddetto breadcrumber si vuole assicurare di non avere perso di attrattiva agli occhi dell’altra persona.
Narcisismo, autocompiacimento, noia o sindrome da Peter pan? Quali che siano le cause, non sono da sottovalutare gli effetti negativi sulle vittime del breadcrumbing: una ricerca intitolata Psychological Correlates of Ghosting and Breadcrumbing Experiences: A Preliminary Study among Adults, e pubblicata di recente sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, ha infatti riscontrato un aumento del senso di solitudine e di impotenza nelle persone prese di mira, insieme a un calo dell’autostima e a un malessere psicofisico difficile da smaltire (con mal di testa, gastriti e dolori muscolari annessi), a causa del quale nella vita si tenderà a non percepirsi meritevoli di chissà quali attenzioni.
Con Mariagrazia Villa, communication & ethics coach, docente, giornalista e copywriter, cerchiamo di capire se esiste un galateo digitale e come sfuggire ad uno scivolone relazionale.
Cosa ne pensa del fenomeno ghosting e delle sue declinazioni e cosa possiamo fare per tutelarci?
Penso che il fenomeno del ghosting e le sue varie declinazioni siano il frutto di una difficoltà, sempre più marcata nella società contemporanea, nel gestire la comunicazione nel suo doppio «senso di marcia»: in entrata e in uscita. Oggi le persone si sentono molto più al sicuro nel gestire l’azione comunicativa che, da se stessi, si dirige verso gli altri, piuttosto che nel fronteggiare quella che, dagli interlocutori, giunge a loro. È come se fossero spaventate all’idea di non poter controllare quanto l’altro dirà e come loro reagiranno e, così, scelgono forme d’interazione in cui possano condurre il gioco. Non a caso, molti di noi preferiscono mandare un messaggio piuttosto che telefonare a qualcuno: uno scambio di messaggi scritti consente un maggior controllo sulla propria comunicazione e su quella altrui rispetto a uno scambio verbale; se, per esempio, l’altro scrive qualcosa che ci dà fastidio o ci fa arrabbiare, possiamo prenderci tutto il tempo per organizzare una replica o per non rispondere affatto, mentre di persona facciamo più fatica a governare la comunicazione ricevuta e, magari, a girarla a nostro vantaggio. Di fatto, tante persone non amano stare in relazione, ma stabilire i modi e i tempi con cui l’interlocutore dovrebbe avvicinarsi a loro. È un vero peccato, perché gli altri sono la nostra ricchezza e la nostra evoluzione, se sappiamo accoglierli nella flagranza di un incontro in entrata e in uscita.
Se dovesse formulare un piccolo galateo digitale, cosa suggerirebbe agli utenti?
Immagino che il galateo digitale sia per chi rischia di finire vittima del ghosting e di altre pratiche di «sparizione». Prenderei spunto da Il fantasma di Canterville di Oscar Wilde. Come la macchia di sangue sul tappeto del salone non può essere tolta nemmeno con il super smacchiatore Pinkerton, perché il fantasma di Sir Simon puntualmente gliela rimette (è il sangue di sua moglie, Lady Eleanor, che lui ha ucciso in un momento di collera perché lei era un’inetta nelle faccende domestiche), così la comunicazione disfunzionale di chi non regge il confronto con l’altro non può essere spazzata via con la forza pulente della buona volontà o con l’ultimo ritrovato della seduzione. Solo parlando apertamente con il fantasma e mostrando comprensione e dispiacere per la sua tormentata solitudine (perché di questo si tratta), come fa nel racconto la giovane Virginia, è possibile non soffrire e andare avanti con la propria vita. In effetti, Virginia si fidanza con Lord Cecil, non con il fantasma di Canterville!
Cristina Mignini