
Due diversi modi di interpretare il cielo stellato nella storia dell’arte
Molto spesso lo diamo per scontato, non ci facciamo caso. Eppure il cielo è sempre lì, sopra le nostre teste, sopra i nostri pensieri. C’è da ancora prima che esistesse l’uomo ed è sempre stato oggetto di desiderio, per scoprire cosa ci sia lassù, per superare i confini, per affidargli i nostri stessi desideri, come avviene nella notte di San Lorenzo. Aspettiamo con ansia il 10 di agosto per passare una notte col naso all’insù in attesa di una stella cadente che sia in grado di custodire il desiderio più intimo e personale.
E il cielo, fin dalla notte dei tempi, è sempre stato oggetto di ammirazione anche e soprattutto da parte degli artisti.
Uno dei primi cicli pittorici in cui compare il cielo è quello della tomba di Nefertari del XIII sec a.C., il cui immenso soffitto è interamente dipinto di azzurro ed è punteggiato di stelle gialle, come nella maggior parte dei sepolcri egizi. Sulle pareti della tomba è rappresentato il viaggio di Nefertari nell’aldilà in seguito alla sua morte, compiuto di notte secondo la tradizione egiziana. La regina si presenta al cospetto di diverse divinità che la prendono per mano e la conducono al termine del suo viaggio. Nefertari infine si trasforma nella mummia di Osiride sostenuta dalle dee Iside e Neith.
Dalle stelle della tomba di Nefertari, passiamo a quelle della “Notte Stellata” di Van Gogh, conservata al MoMA di New York. Un dipinto di piccole dimensioni, ma che appaga la vista, riempie il cuore e dà pace ai sensi. Si potrebbe restare ad osservarlo per ore e la percezione che si ha di quel cielo artefatto, innaturale eppure così meravigliosamente costruito non cambierebbe, anzi non farebbe che aumentarne la meraviglia.
La storia che c’è dietro questo dipinto è davvero carica di pathos. Nella notte del 23 Dicembre 1888, in seguito alla rottura del rapporto con l’amico Gauguin, Van Gogh compie un gesto estremo e da solo mutila l’orecchio sinistro per avvolgerlo in un foglio di giornale e farlo recapitare ad una donna, la cui identità non è ancora del tutto chiara. Chiaramente insorgono le prime complicazioni, e dopo essersi reso conto delle gravi condizioni fisiche in cui versava, decide di consegnarsi spontaneamente al centro di recupero psichiatrico Saint-Rémy-de-Provence. La stanza in cui era ricoverato in questo centro aveva una finestra che gli permetteva di osservare e ammirare il cielo all’esterno.
Notte Stellata ritrae il paesaggio idealmente visto da Van Gogh dalla propria finestra mentre il buio della notte avvolge il mondo esterno. Un cipresso sulla sinistra anticipa la visione del soggetto posto al centro, un piccolo villaggio illuminato al cui centro svetta il campanile della chiesa ed una fitta vegetazione sul lato destro del dipinto. Sopra questo piccolo nucleo abitativo si staglia un grande cielo stellato che sembra avvolgere interamente il resto della composizione, rapendo da subito l’occhio dell’osservatore.
A quel cielo Van Gogh ha affidato tutte le sue preoccupazioni e le sue speranze e le ha trasformate in una moltitudine di forme armoniosamente aggrovigliate tra loro.
E così come Van Gogh, anche noi affidiamo al cielo le nostre preoccupazioni e, in attesa di una stella cadente che possa custodirle, le trasformiamo in desideri e speranze. E chissà che le stelle non li custodiscano per davvero i nostri desideri.
Roberta Conforte