Gli ultimi anni sono stati ricchi di emozioni, anche contrastanti: abbiamo vissuto un lockdown connesso ad una pandemia che stiamo tuttora vivendo, abbiamo visto limitata la nostra libertà sotto ogni punto di vista, perché il Covid ha rivoluzionato e stravolto le nostre abitudini, abbiamo cantato dai balconi, ci siamo sentiti tutti più vicini gli uni con gli altri per un periodo della durata di una goccia di rugiada, abbiamo sperato che i vaccini ci facessero tornare ad abbracciare i nostri cari e li abbiamo subito dopo messi in discussione. Siamo tornati a sperare in un nuovo anno migliore dei precedenti perché ci sembrava che le cose stessero tornando alla normalità. Sì, ma quale normalità? Quella che c’era fino all’inizio del 2020 o quella che abbiamo vissuto finora? Beh si, alla fine alle mascherine e al gel ci siamo abituati, quindi sono diventati la nuova normalità.
E allora un piccolo dubbio ha iniziato ad insinuarsi nella testa. Dapprima non gli abbiamo dato retta, lo abbiamo scacciato con un gesto della mano come fosse il ronzio fastidioso di una mosca. Poi, quel dubbio, ha iniziato a diventare sempre più grande, e come una tempesta di fulmini che si scatena in lontananza, ha iniziato a borbottare fino a diventare un rumore assordante: siamo mai stati davvero liberi?
Ci hanno imposto di restare a casa per salvaguardare la salute della comunità, ci hanno imposto di vaccinarci sempre per lo stesso motivo, ci hanno detto che in questo modo saremmo usciti più velocemente dall’incubo che stavamo vivendo. Ma gli anni sono passati e si è aggiunto un ulteriore incubo: la guerra in Ucraina. Ne parliamo tanto, ne parliamo tutti, ma guardiamo dall’esterno, senza intervenire perché non si po’ intervenire. Perché non si può neanche spiegare. O meglio, si potrebbe spiegare, ma quando guardi gli occhi disperati e vuoti di un bambino che ha perso i genitori e si ritrova solo, senza sapere cosa fare e dove andare, le parole non escono, sono come bloccate nella gola e sulla punta delle dita.
Quando le ritroviamo, però, siamo ancora liberi di esporle. Ma ripropongo la domanda: siamo mai stati davvero liberi?
Prendiamo la Cappella Sistina di Michelangelo. La prima volta che sono stata sotto il suo soffitto, gli occhi si sono riempiti di lacrime e avevano una fame vorace, più continuavano a cibarsi delle fattezze, dei colori e delle composizioni in quella stanza e più volevano essere nutriti di tanta magnificenza. Il turbinio di corpi, poi, sul Giudizio Universale mi ha lasciata stupefatta. Ma c’è da dire che ciò che ammiriamo oggi non è quello che aveva inizialmente immaginato e realizzato Michelangelo. Certo, perché nel 1541 rappresentare una scena sacra quale il Giudizio Universale pieno di corpi nudi, non poteva essere accettato. Così, dopo la morte di Michelangelo, spettò allo sfortunato Daniele da Volterra il compito di coprire tutte le nudità.
Anche ad un’opera d’arte come quella del Maestro hanno impedito di esprimersi liberamente.
Ma non serve andare tanto indietro nel tempo. Ricorderete tutti quando nel 2016 in occasione della visita del presidente iraniano Hassan Rohani le sculture presenti ai Musei Capitolini vennero coperte da pannelli bianchi per rispetto delle tradizioni dell’ospite. Un gesto sul quale eviteremo commenti.
Quindi, ripeto la domanda: siamo mai stati davvero liberi?
Roberta Conforte