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La lealtà, ovvero il vero rispetto per sé stessi

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La lealtà, ovvero il vero rispetto per sé stessi

Il tempo terreno che ci è concesso è inestimabile, perciò non bisognerebbe sprecarne nemmeno un millesimo di secondo, motivo per cui i nostri pensieri non dovrebbero perdersi ad inseguire rimorsi di comportamenti inadeguati: quale modo migliore di evitare questo se non essere sempre coerenti e leali e quindi vivere in pace con sé stessi?

Avere la lealtà come orizzonte di vita vuol dire scegliere se affrontare situazioni dialetticamente e umanamente spigolose, oppure se dare residenza in un angolino della nostra mente a rimorsi e rimpianti per non aver detto sempre la verità, per non aver tenuto il punto in certe situazioni o per aver fatto indirettamente del male al prossimo a causa dell’incoerenza scaturita dall’assenza di lealtà.

A tal riguardo voglio sottolineare la differenza tra lealtà e coerenza: esse si tangono, ma non sono la stessa cosa, né sono due facce della stessa medaglia. La lealtà richiede necessariamente coerenza, ma non si può affermare l’opposto, cioè la coerenza non si porta per forza dietro la lealtà: purtroppo qualcuno è coerente (con sé stesso), ma non leale…

La lealtà è uno stile di vita, trasparente e “spensierato”, ma non sempre sereno: bisognerebbe insegnarlo sin da piccoli, praticandolo coerentemente nella quotidianità. Basata com’è sulla verità, la lealtà non prevede in nessun modo l’utilizzo della menzogna, ma le (rarissime) bugie dette a fin di bene non ci faranno certo diventare dei filibustieri incoerenti e traditori: se motivate dal pragmatico detto “il bene è nemico del meglio”, rarissime bugie servono a massimizzare i benefici effetti della lealtà stessa.

Sia chiaro, la precedente affermazione non vuole in nessun modo giustificare l’abnegazione a sani principi di vita, quali la correttezza e la trasparenza nei confronti del prossimo (chiunque esso sia), ma semplicemente vuole tenere conto della realtà vissuta e delle sue condizioni al contorno.

Un altro punto di riflessione scaturisce quando si cambia opinione su certi temi e argomenti: se si ammette di aver fatto precedenti errori di valutazione, la lealtà non viene assolutamente meno, anzi le qualità morali della persona vengono ulteriormente esaltate, perché l’ammissione di un errore è essa stessa una dimostrazione di trasparenza e di forza d’animo. Anche questa prerogativa non sempre è praticata: un esempio? L’aggressività di certi gruppi politici nei confronti delle posizioni di supporto all’Ucraina rispetto all’invasione subita dal sanguinario inquilino del Cremlino.

Una parte di questi movimenti nasce da posizioni vetero-comuniste di stampo sovietico, perciò antiamericane (vedi ad es. le bandiere della NATO bruciate durante le manifestazioni per la pace di imbarazzanti e deleteri pacifinti): costoro sono gli eredi di chi nel 1956 inneggiava ai carri armati sovietici in Ungheria. Per mantenere posizioni coerenti con i loro nonni, non esitano a giustificare l’invasione e la distruzione di una nazione: la loro mente malata segue la filosofia che dice che il nemico del mio nemico è un mio amico, giustificandone le nefandezze di qualunque genere.

Tutto ciò non ha a che fare ovviamente con la coerenza, ma solo con frustrazione e dabbenaggine, o con un mix di entrambe le caratteristiche: la prima prevale in coloro che sognavano la bandiera dell’URSS sul Quirinale, la seconda in coloro che acriticamente seguono il pifferaio magico di turno che pontifica su qualunque argomento dia visibilità e potere, pur non avendone contezza (ovviamente mi riferisco ai connazionali che hanno votato un gruppo di perfetti sconosciuti che, senza arte né parte, si sono trovati proiettati nell’agone politico e hanno partorito aberrazioni quali il reddito di cittadinanza, il bonus 110% et similia).

Anche stavolta mi è scappata la polemica, ma ne vale la pena: la lealtà è un argomento troppo importante per non esprimere chiaramente le proprie opinioni, o no? 

Gerardo Altieri

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