Molto spesso dietro i piatti della cucina tipica italiana si nasconde la nostra storia. La famosa pasta Cacio e Pepe, ad esempio, nasce come un piatto povero: due soli ingredienti, ma che ben miscelati riescono a dare un sapore unico. In un periodo storico in cui la ricerca di ingredienti “particolari” era praticamente impossibile e il cacio non mancava, a Roma prende vita una delle ricette italiane più apprezzate anche all’estero. La cucina italiana si è sempre specializzata nel rendere magici piatti fondamentalmente semplici, sulla carta. Piatti che rappresentano anche il periodo storico in cui sono stati concepiti, pensati.
Sulle famose scrippelle ‘mbusse teramane si potrebbe scrivereun libro. È un piatto magico che nasce dalla commistione culturale fra Parigi e Napoli, inventato (pare per sbaglio) da Enrico Castorani, cuoco degli ufficiali francesi a Teramo! Ogni piatto è una storia. Ogni storia è un pezzettino in più della nostra cultura. La cucina, per noi italiani, è una cosa seria. Non c’è sera con gli amici in cui, a un certo punto, non si disquisisca di un piatto piuttosto che un altro.
Non c’è italiano che, almeno una volta nella vita, non sia andato alla ricerca di un buon agriturismo dove mangiare qualcosa di speciale.
Faccio questo preambolo perché se è vero che alcune storie stanno reggendo il confronto con la modernità, altre rischiano di sparire.
A Milano, ad esempio, non è difficile trovare una discreta Cacio e Pepe. Per quanto sia un piatto romano, la cacio e pepe è ormai famosa anche all’estero.
Ma delle scrippelle ‘mbusse? O dei magici spaghetti alla chitarra?
Questi sono piatti che già cominciano ad essere molto più difficili da trovare fuori dalla Regione Abruzzo!
In città come Roma, Firenze, Milano, è più facile trovare un posto dove fare un brunch piuttosto che un posto che sia in grado di mostrare la “vera” cucina italiana. Eh si, perché con la globalizzazione il sushi è molto più diffuso dei piatti tipici italiani. Incredibile a dirsi, ma è così. Sono oltre tremila i ristoranti sushi nel Bel paese. Quelli che cucinano le scrippelle ‘mbusse non superano il centinaio, probabilmente.
Questo, poi, è il periodo della nuova moda: i poke! Si tratta di piatti esotici, vagamente orientali,—- a base di riso, avocado, salsa di mango e proteine di vario genere. Si può condire un poke un po’ come si vuole. Si possono aggiungere gli edamame, oppure dei bocconcini di pollo. È un piatto sicuramente gustoso, nuovo per il nostro palato. Un piatto unico, dove tutto viene mischiato. Da provare, certo.
Però fa specie che uno spaghetto alla chitarra con le pallottine non si riesca a trovare facilmente fuori dall’Abruzzo. Da una parte questo è positivo, perché potrebbe stimolare il turismo a visitare un territorio specifico. Dall’altra, però, pare evidente che stiamo perdendo il contatto con le nostre tradizioni più profonde. Che, oltre a raccontare un po’ della nostra storia, utilizzano ingredienti sostenibili, cioè del posto!
Non serve trasportarli per migliaia di chilometri, perché si trovano già qui. E anche questo è un aspetto romantico che rischiamo di perdere, andando avanti così. Non sembra, ma stiamo vivendo una rivoluzione culturale enorme, nel nostro Paese. Fra vent’anni alcuni piatti specifici potrebbero essere dimenticati in favore di una cucina più internazionale, ma non sempre più sostenibile.
Ok, ce l’ho sulla punta della lingua, questa ve la devo dire: due domeniche fa sono stato in un luogo molto speciale di Milano per un brunch. Parliamo di un locale assolutamente italiano. Uno dei migliori.
Sul menù, credetemi, non compariva un solo piatto tipico del nostro Paese. Potevo scegliere se mangiare un poke, falafel, pollo al curry oppure un panino con avocado e salmone. Ho optato per l’ultimo.
18 euro più le bibite. Ooookeeii….
Poi sono tornato a casa con uno strano senso di malinconia. Ho ancora il libro di ricette che mia zia mi regalò prima di andarsene via per sempre. L’ho aperto a caso. Davanti a me avevo la ricetta per gli spaghetti con le pallottine. Ho avuto un sussulto. Il mio palato ha cominciato a pizzicare. In quel momento ho capito che non era appetito, ma amore per ciò che siamo e per ciò che rischiamo di perdere.
Marco Cassini