Sono infinite le pagine che si potrebbero scrivere sul problema della parità di diritti. Si, ho scritto diritti e non ‘genere’, per un motivo.
La differenziazione per genere sessuale è una discriminazione come tante altre che, ancora nel 2022, nega troppi diritti a chi fa parte della fazione meno agevolata.
Ma cos’è il genere sessuale? Una costruzione culturale come molte altre.
Sì, perché il genere sessuale è qualcosa di ben distinto dal sesso biologico. La parola genere o gender porta con sé una serie innumerevole di significati cangianti e non strettamente legati alla realtà biologica del sapiens come specie animale.
Pensate a come vestiamo le bimbe di rosa e i maschietti di azzurro, è un fattore culturale e come questo ce ne sono infiniti altri, facciamo alcuni esempi. La definizione di “sesso debole”, fattore culturale! Le donne partoriscono, tutto sono tranne che fisicamente o emotivamente deboli. I canoni di bellezza: donne formose, uomini muscolosi, credenze culturali, basta cambiare paese per veder decadere queste verità. Il machismo tossico che vuole gli uomini costretti ad essere in un modo solo: forti, intoccabili, allenati, brillanti, in carriera, con i soldi, impossibilitati a piangere o ad esprimere qualsiasi tipo di sentimento. Tutti fattori culturali.
L’elenco è ancora lunghissimo e potremmo dire svantaggioso per il sesso femminile. Ma come mai, storicamente, le donne sono state sottomesse?
La risposta è tutt’altro che scontata ma facilmente intuibile. Siamo più legate allo stato di natura, le donne partoriscono e si sa per certo che quel figlio è uscito dal loro grembo. Per gli uomini non è la stessa cosa.
In effetti gli uomini non sono legati, se non solo nell’atto, alla catena riproduttiva, ma l’atto non lascia traccia, in somma il padre non è certo.
Quindi la donna genera visivamente, e a lei appartiene la prova, questo potere generativo doveva in qualche modo essere imbrigliato. Le società, per esistere, hanno bisogno di regole e le regole presuppongono la conoscenza. Quindi è necessario sapere di chi fosse un figlio, sia per la madre che per il padre, ciò ha imbrigliato le donne in legami familiari e relazionali, ma anche gli uomini. Soprattutto in società tribali, piccole e ben definite, la monogamia fu un’invenzione necessaria. Atta a regolare la proprietà sulla nascita e il riconoscimento di un nuovo membro della tribù.
Ma questo, come abbiamo detto, legò uomini e donne.
Altro fattore, la donna è padrona della vita quanto della morte. Non scandalizziamoci, l’aborto, l’omicidio o l’eutanasia sono sempre esistiti ed appartenevano alle donne. Nel momento in cui nasce una relazione di cura, chi presta le suddette, è responsabile del curato anche nella morte. Come gestire questo potere? Semplice, si inventa un Dio a cui appartiene la vita. Così la dignità del vivere non sarà più di chi ha e ha avuto con te una relazione ma rimessa ad un Dio che, inspiegabilmente, decide in maniera arbitraria di farti morire tra atroci dolori o di farti nascere non voluto e reietto dall’inizio della tua vita.
Parole forti, lo immagino, ma sono quelle appartenenti alle diverse evoluzioni culturali umane.
“Ma di cosa ti lamenti, mia madre in famiglia comanda tutto, è la colonna portante!”. “Tu dici che le donne sono svantaggiate ma io senza le mie collaboratrici non sarei nulla”.
Queste frasi, che avrete sicuramente, almeno una volta nella vita, ascoltato da qualche uomo, appartengono alla manifestazione culturale chiamata matricentrismo (non matriarcato, base sociale che ad oggi non esiste).
Vediamo un attimo quali sono le differenze tra questi due concetti. Il matriarcato è una forma di gestione sociale dove le donne sono annesse nelle decisioni politiche del gruppo umano. Dove i legami di parentela non si basano sulle relazioni fisse (non interessa sapere chi sia il padre perché il figlio è della comunità intera) e dove le donne insieme nella cogestione e coeducazione allevano i propri figli insieme.
Bene, il matricentrismo è altro. Si tratta di quel meccanismo culturale per cui la madre è il centro della famiglia e come tale riveste un ruolo ben preciso da cui non può uscire, se crolla lei crolla il sistema famigliare e questo significa che tutti possono impedirle la libertà di essere altro.
Per questo le madri del nostro presente, nella nostra cultura, devono essere: donne in carriera ma anche brave massaie, pulire stirare e cucinare, andare a riprendere i figli a scuola, lavarli, fargli fare i compiti, andare alle riunioni con i genitori, stirare, fare le lavatrici, curarsi, belle ma non troppo se no diventi volgare, fare i piatti, preparare pranzo e cena per la settimana, fare la spesa, portare la macchina a fare il tagliando, rispettare le scadenze in ufficio e, se tutto questo non fila in maniera precisa, sentirsi anche redarguita dalle altre madri e dalla società o dalle altre mogli (e troppo spesso anche dai mariti) e magari anche dal capo ufficio. Umano? No! Inutile e impossibile.
Concludo chiedendo a tutti di uscire da questa catena di pensiero, ogni donna, come ogni uomo, deve comportarsi come ritiene giusto per sé stesso o sé stessa nel pieno rispetto di se e dell’altro, senza sentirsi in obbligo o in dovere di dover soddisfare aspettative sociali.
Amatevi e amate che ad essere gestiti dal mal riposto pensiero sociale c’è sempre tempo.
Andrea Di Giovanni