Domandona che ha reso insonni nei secoli fior di filosofi e le loro relative scuole: anche senza essere raffinati pensatori, piuttosto che antropologi o neuroscienziati, che risposta ci siamo dati quando ci siamo posti quella pesante domanda?
Prima di tutto da giovani bisogna distinguere bene l’argomento e non confonderlo con un altro grande dilemma: cosa voglio fare nella mia vita? Sembra banale, ma spesso si fa confusione al riguardo: cosa vogliamo fare della nostra vita è ben diverso dal perché siamo al mondo. Già questo ci porta ad una riflessione sui massimi sistemi: questa analisi non deve essere solo ad appannaggio dei filosofi, perché tutti noi ci poniamo prima o poi il quesito e la risposta, più o meno profonda, influenza la nostra vita.
Da cattolico sono portato a considerare la vita come un bene incommensurabilmente prezioso, che non vada sprecato ad inseguire l’accumulo epicureo dei beni materiali e del potere terreno, ma che va contestualizzato all’interno di un disegno molto più ampio di cui tutti noi facciamo parte. Ammetto di non essere un perfetto credente, dato che le soddisfazioni morali e materiali per me hanno una certa importanza, ma col passare del tempo è cresciuta la rilevanza dei valori immateriali, che sono stati sempre presenti in me, ma che ogni giorno accrescono la loro importanza. Parlo dei sentimenti che ci legano al prossimo, in primis l’amicizia e l’amore per le persone che ci circondano, elementi che ci accompagnano sin dalla nascita: magari cambierà l’intensità e i soggetti a cui li indirizziamo, ma sono sentimenti ben presenti fino all’ultimo giorno terreno.
Insisto sul fatto che chiunque, prima o poi, si pone la somma domanda sul senso della vita e che quando si prova a dare una risposta sincera, lo scenario si complica, perché c’è la presenza ingombrante di un convitato di pietra: la dicotomia tra il bene e il male. Perché nella vita dobbiamo sperimentare (attivamente e passivamente) situazioni e sentimenti negativi? La risposta materiale ce la dà la neuroscienza, che ci mostra come il cervello umano sia una combinazione di bene e male, aggressività e violenza, altruismo ed egoismo, miseria e nobiltà. La risposta immateriale è ovviamente legata alle nostre convinzioni di vita: tante filosofie e religioni considerano il passaggio terreno come un periodo catartico durante il quale crescere e purificarsi per raggiungere un superiore livello spirituale, altri credono solo che l’alfa e l’omega siano la nascita e la morte e che tutto il resto siano solo chiacchiere. Pur rispettando il pensiero e le opinioni di tutti, credo che queste ultime persone siano sfortunate nel pensare ciò, perché credo che perdano l’opportunità di vivere appieno il nostro passaggio terreno.
Spiace vedere fior di pensatori (alcuni solo pseudo-tali…) che credono semplicemente che la vita non abbia un senso di per sé, ma che gliene attribuiamo uno noi stessi: se almeno fossero un minimo seguaci di Platone, penserebbero che la dimensione dell’essere è eterna, ma tant’è…
Gerardo Altieri