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Lo spettacolo del carnevale nei secoli e la commedia dell’arte

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Lo spettacolo del carnevale nei secoli e la commedia dell’arte

Una Dea Ironica, graffiante, irriverente, che, nel corso dei secoli, ha conquistato artisti e letterati, pronti ad ascoltare il suo canto per correggere, a colpi di penna e pennello, i (mal) costumi delle società di ogni epoca.

 A differenza di altre “sorelle” più dolci e aggraziate, la Satira è una musa arguta e sfacciata, a tratti grottesca, abile nell’affascinare attraverso quel sorriso amaro che diverte e, al contempo, fa riflettere.

Attori e commediografi che, portando in scena le loro rappresentazioni, svilupparono e caratterizzarono le suddette maschere, attribuendo a ciascuna virtù (poche) e vizi (tanti) tipici dell’essere umano. Divenute poi famose, tali maschere sarebbero state utilizzate dalla gente comune, a prescindere dal ceto di appartenenza, per camuffarsi e divertirsi nel periodo più pazzo dell’anno. Il carnevale non nasce con la commedia dell’arte (risalente al XVI secolo). Le sue origini sono antiche e affondano le radici in Grecia, nelle celebrazioni dedicate a Dioniso, durante le quali sfilavano cortei mascherati.

La parola maschera deriva dall’arabo “Mascarà”, che significa: scherno, satira. Nel teatro greco e in quello romano la maschera veniva usata dagli attori per sottolineare i tratti del personaggio che interpretavano. Nel XVI secolo si afferma in Italia la “Commedia dell’arte” e, uno dei temi ricorrenti, era la beffa del servo che riusciva ad avere la sua rivincita verso il potente. È in questo quadro che sui palcoscenici di Venezia nasce il personaggio di Zanni (il servo zotico) che poi subirà diverse metamorfosi fino a diventare rappresentativo della figura del servo attraverso maschere della nostra tradizione come Arlecchino e Pulcinella.

Il Carnevale affonda le sue radici già nell’antica Roma, in cui si celebravano i Saturnali, ciclo di festività in onore del Dio Saturno, divinità dell’età dell’oro. I festeggiamenti avvenivano inizialmente il 17 dicembre e successivamente vennero prolungati per sette giorni fino al 24 dicembre, ovvero la vigilia del Natalis Solis (Natale del Sole). Alla base dei Saturnali c’erano banchetti, balli e un sovvertimento momentaneo, in favore del disordine, in cui tutto era concesso e in cui si realizzava uno scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie. I servi, ad esempio, potevano sentirsi liberi di fare quel che credevano, prendevano il posto dei loro padroni e avevano il diritto di eleggere un loro capo, una sorta di ‘re burla’ che al termine dei festeggiamenti andava incontro a una morte già scritta: il Saturnalicius Princeps, il quale indossava abiti sgargianti e una maschera per personificare il Dio Saturno.

L’ essenza della commedia dell’arte, carnescialesca, era legata alla tradizione, in particolare dei giullari o satiri medioevali. Una commedia che sostituì la “commedia colta del 400- 5oo” influenzando autori come, Molier, Goldoni, Shakespeare, che con i suoi cambiamenti abolirà l’uso delle maschere introducendo il copione.

La convinzione attorno all’antica credenza delle maschere consisteva nel fatto che il clamore delle stesse avesse il potere di allontanarle forze delle tenebre e l’inverno in favore dell’arrivo della primavera tempo durante il quale le superstizioni pagane si mescolano con la religiosità cattolica del carnevale. La notizia di quel teatro s’è quasi persa del tutto. Lo chiameremo lo spettacolo scomparso. Fu un teatro di pochi gruppi eccellenti nell’arte: un teatro d’eccezione. Eccellenza eccezione e disappartenenza nacquero dall’intreccio dei casi, non furono figli d’un progetto o d’un programma. Solo in un secondo momento, e sempre un po’ di nascosto, divennero idea, si riconobbero in un modo di pensare, si tradussero in una coscienza artistica libertina. Lo spettacolo scomparso non va identificato con l’insieme della Commedia dell’Arte. Di essa e della sua fama fu però il lievito. La Commedia dell’Arte ebbe un’influenza tanto lunga e variegata nella cultura mondiale perché nutrì idee e illusioni ramificate. È un tipo di teatro che dalla seconda metà del Cinquecento s’è prolungato fino alla metà del Settecento, continuando poi a reincarnarsi come immagine, come sogno, come un genere teatrale capace di proiettarsi in una leggenda e nell’ombra d’una tradizione. Lo spettacolo scomparso fu la scintilla presto sepolta dal grosso della Commedia dell’Arte, dal suo mondo ingombro, complesso e compresso. Ma fu anche la sua quintessenza, la fonte segreta dei vivi contrasti che fanno della Commedia dell’Arte un pezzo della storia del teatro dal fascino ricorrente, elementare, difficile da capire. Le sue caratteristiche, molto particolari, entusiasmarono il pubblico fin dalle origini: gli attori non recitavano testi, ma improvvisavano i dialoghi in scena; vi erano ‘tipi fissi’, cioè personaggi che tornavano da uno spettacolo all’altro come Arlecchino, il Capitano, Brighella ; alcuni dei personaggi portavano sul volto maschere di cuoio e sulla scena si intrecciavano dialetti e lingue differenti. Le maschere, quindi, avevano già un significato apotropaico in quanto permettevano a chi le indossava di assumere le caratteristiche della divinità venerata. Questa personificazione aveva lo scopo di creare un rapporto amichevole e fraterno fra i viventi e le entità soprannaturali. Probabilmente le origini del Carnevale sono molto più antiche e, ovviamente, con il passare dei secoli, la tradizione ha avuto diverse mutazioni. Con l’avvento del Cristianesimo, possiamo affermare che ci fu una grossa trasformazione dei riti, tenendo conto dello sviluppo dell’ideologia cristiana basata per lo più su privazioni e astinenze e dell’intenzione della Chiesa di combattere la sopravvivenza dei culti e dei rituali pagani. Di questa festa non conosciamo con certezza la vera natura o l’origine corretta del nome, ed essendo una tradizione plurimillenaria risulta difficile comprenderla nella sua totalità, date appunto le differenti trasformazioni accolte fino ai giorni d’oggi. Il Carnevale era costituito da un insieme di riti che avevano funzioni atte a richiamare la fertilità della terra, allontanare le malattie e le sofferenze, esorcizzare la morte data dalla durata e dalla rigidità dell’inverno e consolidare l’unione della comunità attraverso un incontro collettivo nell’ambito della festa. L’uomo primitivo era per lo più un agricoltore, viveva in funzione della terra, nella speranza che i raccolti potessero essere abbondanti, garantendogli la sopravvivenza. Inoltre, il Carnevale diventava anche una sorta di scusa per rendere note le proprie opinioni e innescare un cambiamento anche a livello istituzionale e sociale, come se si avesse l’autorizzazione a contestare l’ordine sociale, politico e religioso attraverso la protesta. La possibilità di rovesciare il mondo reale permetteva, così, di creare un mondo possibile in cui gli umili desideravano vivere, in cui non esistevano padroni, né fame o miseria, tantomeno malattie o sofferenze, una specie di mondo utopico gioioso e libero.

Con la nascita della Commedia dell’Arte si ha l’integrazione delle maschere e dei costumi ispirati alla tradizione collettiva che determinavano la rappresentazione dei vizi e delle virtù degli uomini, identificati in un certo tipo di personaggio come: il padrone, i servi, i rozzi o i sempliciotti, ma anche i furbi e gli imbroglioni. I protagonisti più famosi furono Arlecchino, Pulcinella, Colombina e Pantalone, i quali già dal 1700 intrattenevano la comunità durante le rappresentazioni della Commedia, ma anche durante la festa del Carnevale. Il Carnevale medievale, a differenza di quello rinascimentale, faceva del mascheramento un modo di entrare in contatto con un ‘mondo altro’, dove si presentava il tema dell’al di là, come ciò che è ignoto e non rappresentabile con cui era necessario entrare in contatto per assicurarsi un futuro prospero.

Le prime maschere, proprio per questo motivo, rappresentavano il Dio Dioniso, conosciuto per lo più come divinità protettrice dei vigneti e del vino, ma in realtà venerato in modo più esteso come Dio delle stagioni e della vegetazione Dioniso era considerato il Dio che torna dall’oltretomba, colui che nonostante il male ricevuto sia riuscito a rinascere e tornare a vivere. Nella maggior parte dei riti carnevaleschi italiani, ma anche europei, le maschere sono supportate anche dai campanacci i quali vengono posti sulla schiena, sui fianchi o al collo e, anch’essi di facile recupero, servivano a creare il rumore assordante e fastidioso necessario per risvegliare la terra e al contempo allontanare gli ‘spiriti negativi’ dell’inverno. Il Carnevale abruzzese   una volta era diffusissimo, attualmente il carnevale antico è rappresentato solo in alcuni comuni teatini e non tutti gli anni Castiglione Messer Marino, Schiavi d’Abruzzo, Vasto, San Vincenzo di Guardiagrele, Palombaro. Tra tutte le figure della festa, meritano particolare attenzione i Pulcinelli abruzzesi bianchi e colorati perché, oltre ad essere i più ancestrali, rivelano la natura semidivina del rinnovamento vegetale.  

Maria Ragionieri

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