Nella modernità liquida il tempo non è né ciclico né lineare, come normalmente era nelle altre società della storia moderna e premoderna, ma invece “puntillistico” ossia frammentato in una moltitudine di particelle separate, ciascuna ridotta ad un punto”. Questa perdita di senso del tempo, che ci costringe a vivere in un perpetuo e trafelato presente, in cui tutto è affidato all’esperienza del momento, è accompagnata dallo svuotamento dei criteri di rilevanza che fanno distinguere l’essenziale dal superfluo, il durevole dall’effimero. In un contesto sociale in cui tutto scorre di fretta, inesorabile, e il tempo sembra non bastare mai per portare a termine tutti gli impegni di agende fittissime, si inserisce la paura del tempo che scorre inesorabile e non torna, e del tempo che non basta.
Così la nostra identità di persone, ieri faticosamente costruita su un progetto di vita, può essere oggi assemblata e disassemblata in modo intermittente e sempre nuovo, “come un pacchetto pay-per-view”.
Il tempo che scorre diventa il nemico principale, ed è sempre poco, non abbastanza per fare tutto ciò che si dovrebbe.
Questo meccanismo genera profonda insoddisfazione ogni volta, in quanto si ha sovente la sensazione di sprecare tempo. La missione è sempre quella di portare a termine un numero esagerato di azioni in un tempo sempre ovviamente insufficiente, certamente i ritmi e le priorità del vivere moderno, caratterizzato da fretta e frenesia.
Viviamo in un mondo ormai ipertecnologico, dove sembra che la parola d’ordine sia andare di fretta. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, ci troviamo a vivere sotto una elevata pressione. Si tratta in effetti di uno stile di vita: si mangia di fretta, si dorme poco, si corre da un posto all’altro pur di rispettare i mille impegni presenti, il telefono squilla continuamente, chiamate, messaggi, i ritmi sono sempre più serrati.
È dunque ancora più sorprendente, dato questo sconsolante scenario, che ci dovrebbe indurre una volta di più a sospendere le nostre vite di corsa per il tempo indispensabile a riflettere sulle questioni che ci riguardano più profondamente: bisogni e felicità, memoria e oblio, fondatezza e inconsistenza, costrizione e libertà.
Le giornate filano via senza lasciare traccia. Sono tutte maledettamente uguali, perché si basano su attività ripetitive: ogni giorno ti rechi in ufficio e ripeti sempre le stesse azioni. Giorno dopo giorno, decennio dopo decennio. Dunque, ciò che serve davvero è il tempo. Il tempo di viaggiare, esplorare, conoscerti, innamorarti, sentirti pieno di vita. Il tempo è il bene più prezioso che abbiamo e dovremmo dargli la nostra priorità, smettere di pensare agli obblighi, alle responsabilità e a “ciò che è giusto”. A volte, semplicemente, dovremmo scorrere inarrestabili verso la nostra felicità e questo aiuta a comprendere i paradossi del tempo e la sindrome della fretta che funesta la nostra epoca e da ultimo esorta a metterci alla ricerca di una tempestività senza esitazione né precipitazione, che ci faccia cogliere e vivere appieno l’attimo.
I successi sono bellissimi, ottenere risultati, fare bene, raggiungere obiettivi, sforzarsi, lavorare, lavorare duro, è tutto bellissimo. Ma è necessario smetterla di pensare che è semplice, che siamo cavalli di razza e vinciamo sempre, che tanto siamo bravi, non siamo bravi, siamo imperfetti, corriamo ognuno a una velocità diversa perchè ognuno fa i conti con i suoi di ostacoli, con i suoi di limiti, ognuno si accudisce il suo tempo e i suoi fallimenti e se si tifa per noi solo continuandoci a dire di correre correre correre non ce la facciamo più, rischiamo di cadere nel vuoto, e in una mattina farci male sul serio. E il motivo in cui si entra nel vivo è che per tutti arriva il momento, prima o poi, di prendere consapevolezza della vita, di fare conti con il vero padrone il tempo, percezione del tempo nella vita di una persona, allora la realtà è che siamo consapevoli del tempo che passa solo quando è forse troppo tardi. Se Time arrivasse presto anche nella vita reale, durante l’adolescenza per esempio, forse la vita da lì in avanti avrebbe fruttato di più. La cognizione del nostro tempo cresce in noi quando la giovinezza è già passata, quando sono già trascorsi molti anni, dieci come minimo, dove potevamo fare qualcosa di utile e produttivo per il nostro futuro, dobbiamo correre, corriamo per raggiungere il sole, cioè corriamo dietro ai sogni o alle cose impossibili o difficilmente raggiungibili perché la società ci impone di correre, o almeno con l’obbligo morale che dovremmo farlo. Avere il fiato corto significa non avere la forza di fronteggiare cambiamenti, scadenze, persone, società, impegni, man mano che invecchiamo. Non sappiamo se è una gara contro qualcuno o contro noi stessi, né è chiaro dove stiamo andando, ma occorre iniziare a correre per restare al passo e restare vivi. Il tempo che scorre via, il vero padrone della vita, colui che tutto mangia e che sempre vince.
La stella più grande non solo non si fa raggiungere ma ci raggiungerà, inseguendoci, perché lui rimane lo stesso, noi invecchiamo. Ma il tempo passa. I secondi diventano minuti, i minuti si trasformano in ore, la somma delle ore hanno creato giorni, settimane, mesi, anni. Da adulti, il tempo continua a picchiettare secondi su secondi come tante gocce dello stesso acquazzone, ciò che cambia è la nostra percezione del tempo. Prima non capivi le cose, ora sì.
Ma la società ci impone di correre e una persona può lentamente impazzire e finire, oscurato, nel proprio lato buio della luna. Perchè questa continua rincorsa a riempire il tempo, anche quello “libero”, per poi trovarsi a scavalcarlo?
A volte, si tratta di un’abitudine mentale ben radicata, che trova senso in una visione di noi stessi e della vita che dà valore al fare eredità di una società contemporanea che attribuisce merito all’efficienza, alla produttività, al sentirsi attivi e impegnati. Vivere giornate fitte di impegni, con poche pause, e un senso di accelerazione che non lascia tregua, aumenta i livelli di ansia e stress, e ci fa sentire in uno stato di continua tensione e allerta, la nostra attenzione è proiettata sul portare a termine il compito o passare all’attività successiva, la consapevolezza restringe il suo campo, si fa piccola e chiusa: come quando fissiamo in modo concentrato un punto e non vediamo più lo sfondo. L’aggettivo “lento” assume una connotazione negativa nella nostra cultura, come caratteristica dalla quale è meglio prendere le distanze e non identificarsi.
Rallentare, riposare, è spesso visto come uno stato di inerzia improduttiva, quasi una perdita di tempo che raramente ci permettiamo. Corriamo, anche per il bisogno di sentirci efficienti, attivi, impegnati. E così il fare diventa un modo di essere, che rispecchia parte della nostra identità e del ruolo che ricopriamo nel mondo. Quando ci identifichiamo con l’idea del dover fare, ci priviamo almeno in parte della possibilità di poter semplicemente essere. Essere qui, nulla di più, nulla di meno.
Uno degli obiettivi per vivere il proprio tempo è quello di trovare sempre più tempo da dedicare alla nostra vita persona per poter fare tutte quelle cose che non riusciamo mai a fare che ci rendono felici anche se non hanno senso ma sono importantissimi per vivere in armonia con noi stessi a con gli altri.
Ma abbiamo la libertà di scegliere se diventare dipendenti dall’azione e identificarci con l’idea di dover fare e correre, o se semplicemente osservare, l’esperienza di avere molte attività, da uno spazio di consapevolezza, centratura e apertura.
Apprezzare profondamente ciò che hai “qui e ora”, senza farsi ossessionare” da ciò che potresti avere.” Riuscire a placare l’ossessione velenosa di voler sempre avere quello che ci manca significa alleggerirsi di un peso faticoso da trasportare ogni giorno e aiuta anche a capire che in fondo hai già tutto quello che serve per essere felice, dunque, ascoltare il nostro corpo e di sapersi fermare senza rimanere troppo coinvolti dal vortice di questa vita, imparare a fare questo significa semplicemente imparare a volersi bene e diventare davvero padrone di poter scegliere come impegnare le proprie energie e guardare più in profondità, dandoci la possibilità di scegliere cosa è davvero essenziale per noi e a cosa possiamo eventualmente rinunciare per fare un po’ di spazio.
Il fare è parte di un’esperienza più ampia, in cui posso restare a contatto con l’intera esperienza che accade, di momento in momento, restando presente anche nel corpo. Rallentare è un lusso che non ci concediamo facilmente. Le nostre giornate scorrono scandite dalla lista delle cose da fare, in una rincorsa frenetica a spuntare gli impegni di un’agenda mentale sempre più fitta e densa e concedersi qualche mini-pausa di consapevolezza è necessario per tornare al respiro che permette di passare dalla modalità del pilota automatico alla modalità della consapevolezza e in tal caso, possiamo scoprire cosa dà significato alla nostra vita, in cosa desideriamo impegnare ciò che di più prezioso abbiamo: il nostro tempo e la nostra esistenza.
Maria Ragionieri