
Ooota fu l’ultimo ad allontanarsi, e aveva già percorso parecchi metri
quando si voltò per dirmi: “Vieni. Ora ce ne andiamo”.
“Dove?” domandai.
“Nella foresta.”
“Ma dove siete diretti?”
“Attraverso l’Australia.”
“Fantastico! E quanto tempo ci vorrà?”
“Più o meno tre intere lune.”
“Sarebbe a dire che camminerete per tre mesi?”
“Sì, tre mesi, giorno più, giorno meno.”
(E venne chiamata due cuori – Marlo Morgan)
Metti un piede dopo l’altro per muovere i passi, poi legali al cuore e non smarrirai mai la tua strada. Il posto dove arrivi diventa il tuo posto se lo valichi con l’amore giusto, se lo senti tuo, se la strada che ti ci ha portato ti stava aspettando. Osservo la città di notte, piena di luci e percorsi che fuggono in lampi colorati, intrecciati gli uni agli altri. Facce quadrate accese nei palazzi lasciano immaginare la tanta vita che li abita. Ogni giorno ci si muove, correndo, ansimando, con la paura di non arrivare in tempo, di fare tardi, nell’attesa che il sole tramonti. Sliding doors che si aprono e chiudono continuamente, che lasciano eventi dietro alle porte scorrevoli o li fanno entrare cambiando per sempre il loro destino. E succede che molte vite si sfiorino, che per un soffio non ci si veda oppure ci si incontri per caso quando niente faceva pensare che potesse accadere. Si girano angoli mentre qualcuno li ha appena svoltati, attraversano strade subito dopo che qualcun altro le ha percorse. Tutta l’esistenza è un grande viaggio al quale possiamo attribuire il nostro personale significato ma qualche volta capita che un evento singolare, una parola, un incontro riescano a deviare il corso della vita in modo determinante. Nel libro di Marlo Morgan “E venne chiamata due cuori” la scrittrice descrive il suo viaggio nel cuore dell’Australia come metafora della vita vissuta nell’effimero, dando valore agli oggetti più che alle persone. Un sentimento di attaccamento alle cose che viene ribaltato completamente durante l’attraversamento della foresta e del deserto, in compagnia di una tribù di Aborigeni. Spogliata di ogni bene materiale prima di partire, cose alle quali ci leghiamo, a cui teniamo e delle quali ci sembra di non poter fare a meno. Il percorso che giorno dopo giorno le fa abbandonare il superfluo, ad ogni passo, ad ogni spina conficcata nei piedi, ad ogni bisogno mancato, alla fame, alla sete, alla stanchezza insegnandole l’armonia, il significato e il valore dell’esistenza. In fondo la vita non è altro che questo, camminare tra i rovi, inciampare sui sassi e trovarsi di fronte baratri da superare. Cosa e chi ci dà la forza per andare avanti, per affrontare la quotidiana difficoltà del vivere? Il riuscire a respirare tra le mille opportunità da cogliere al volo o lasciar andare? Vorremmo avere tutto tra le mani, sotto controllo e non sbagliare mai nemmeno un colpo, l’accettare i fallimenti non sembra essere previsto nel nostro stile di vita. Sono le incursioni tecnologiche, il consumismo, le scalate al successo, omologarsi ad un sistema esclusivo che non ammette errori: sei dentro o sei fuori. Quante volte ci fermiamo a pensare che siamo arrivati al troppo, che la misura è quasi colma? La frenesia della vita moderna, lo sfrecciare delle macchine, degli aerei, dei treni ad altissima velocità, delle esistenze che si rincorrono continuamente in un perpetuo cercarsi in chiamate, call e messaggi vocali, E se lasciassimo che tutto vada come deve andare? Se invece imparassimo a comunicare con la mente? Se facessimo decidere alle sensazioni? Bisognerebbe provare a farlo per tornare alle origini e cercare di comprendere che non esiste una sola via, un’unica esistenza, un mondo soltanto. Forse siamo osservati da qualcosa che è al di sopra di tutto e che ci sta inducendo a svoltare dalla parte giusta e, almeno per una volta, di averne il coraggio.
Avevo passato la vita assillata dalla necessità di garantirmi un lavoro sicuro, di premunirmi contro l’inflazione, di acquistare beni immobili e risparmiare in vista della pensione. Ma qui la nostra unica sicurezza era l’immutabile ciclo del sole che sorgeva al mattino e tramontava la sera.
(E venne chiamata due cuori – Marlo Morgan)
Maria Zaccagnini