Racconto di un artista nostalgico
“Per mettersi in viaggio c’è bisogno della nostalgia di qualcosa” – Susanna Tamaro
Le storie che iniziano in campagna sono belle, il sudore forgia, modella, plasma. La fatica insegna che ogni cosa ottenuta con difficoltà è stata guadagnata bene, con soddisfazione, con orgoglio.
Questo è un racconto che parla di partenze e distanze ma anche di approdi e vittorie, narra la vita di un talento abruzzese, quello di Gino Berardi.
Il suo è un curriculum lunghissimo, troppo lungo da citare qui ma è ben esposto nei cataloghi, nelle recensioni e articoli a lui dedicati negli anni. Gentile e disponibile, l’eclettico artista mi ha accolta nel suo “Spazio Arte” di Montesilvano.
I suoi quadri li ho ammirati e guardati oltre la tela e ci ho visto gli occhi lucidi del ricordo, la nostalgia, l’amore. Amante della vita, lo definirei così, con una visione aperta e infinita sulle possibilità da cogliere durante il tragitto.
Nel primo periodo appassionato, le pennellate di colore, macchie, come lui stesso spiega, corrono libere sui paesaggi, poi passa ad una forma di astratto con incursioni, volti, figure, oggetti seminascosti ma presenti sotto forma di cari simboli. Il colore invade completamente le superfici dall’inizio ad oggi, la terra è protagonista assoluta, quella dove ha dato i primi passi, da dove è emigrato, dove è arrivato, dove è tornato. Tutti i colori della tavolozza impressi su tela o tavola, rappresentano un volto che guarda al presente con lo sguardo rivolto al passato.
Oli, acrilici, sabbia, gesso, juta, respirano nelle opere materiche proprio come l’artista ha fatto nel lungo viaggio durante il quale ha acquisito titoli di Cavaliere, Cavaliere Ufficiale e Commendatore della Repubblica Italiana. Ha esposto in molte città in Italia e all’estero ed è stato invitato a prestigiosi premi, manifestazioni e concorsi nazionali e internazionali.
Le sue opere parlano del forte legame con le radici, descrivono un vissuto sentito e ancora vivo, ce ne racconta l’origine?
Sono nato in una piccola frazione di Pietranico, erano tutti contadini, la strada era interpoderale, le macchine non potevano raggiungerla. Ero un ragazzo povero, non conoscevo il mondo, la mia infanzia è stata un po’ triste, alle sei andavo a pascolare le pecore prima di andare a scuola. I miei genitori, emigrati in Francia, mi lasciarono con la nonna e con le zie, ho vissuto in posti diversi, tra una casa e l’altra. Dopo il diploma di scuola media superiore sono partito per la Svizzera dove sono rimasto per dieci anni, ho costruito dal niente la mia professione con grande successo, ma ho sempre sentito dentro di me il richiamo e il grande amore per la mia patria. Per questo motivo ho scelto di tornare, quando mi si è presentata l’opportunità di dirigere l’Hotel Mediterraneo a Montesilvano.
Nei suoi quadri emerge forte il simbolismo, qual è il significato?
Il gallo è molto legato all’origine della parola cocktail, appunto “coda di gallo” che si ricollega al mio lavoro di insegnante all’Istituto Alberghiero di Pescara, ma il senso va anche attribuito proprio alla terra, alla ruralità. La bottiglia, il bicchiere, richiamano il periodo dell’insegnamento, un periodo bello e che ha lasciato in me un ricordo molto profondo. La scala rappresenta la crescita, il salire, l’andare oltre. I volti, le figure appena accennate, non definite, lasciano all’osservatore libero arbitrio nell’immaginazione, sono presenze, forse le molteplici personalità incontrate durante il cammino professionale e umano.
Quali tecniche utilizza per la realizzazione delle sue opere?
Prevalentemente tecnica mista, ai colori ad olio e acrilico amo accostare il gesso, la sabbia, la juta ed altri elementi materici. Una volta ci fu l’incursione di un pennello che mi venne d’istinto includere nell’opera come elemento determinante.
Come è passato dall’impressionismo all’astratto informale?
Il mio impressionismo non era figurativo, amavo le macchie, le pennellate di colore, il passaggio è avvenuto naturalmente, da uno stile figurativo non ben delineato, a un altro astratto dove si possono scorgere figure, se pur celate e fuse con i colori. Mi hanno definito il pittore delle nevicate, delle marine, ho realizzato molti paesaggi d’Abruzzo, vedute campestri, scene di vita semplice, all’aria aperta, come le ginestre e il pesco in fiore.
Lei ha frequentato la bottega di un maestro iperrealista però poi si è discostato da questo genere di approccio, perché?
Negli anni trascorsi in Svizzera ho frequentato tantissime gallerie tra Lugano, Losanna, Zurigo, Basilea, lago di Costanza che organizzavano molte mostre di impressionisti francesi. Questi attiravano la mia attenzione, l’impronta artistica è nata così, dall’unione dell’impressionismo e dei macchiaioli con i colori della mia terra, il blu, il rosso, il giallo e tutte le sfumature di madre terra.
Gino Berardi si meraviglia continuamente, si anima di stupore nel descrivere le sue opere come a riscoprirle ogni volta, lo stesso che espone nelle poesie. Ne osserva i tratti, soffia nei colori, gioisce dell’insieme. Il suo è un entusiasmo contagioso che trasmette immediatamente con disarmante simpatia.
Maria Zaccagnini