
Racconto di un reportage esperienziale a Borgocapo
Nell’attuale quadro geopolitico osserviamo con lungimiranza lo scenario “apocalittico” del prossimo inverno. Le sanzioni imposte alla Russia hanno sortito l’effetto desiderato: gettare l’Europa nel baratro della precarietà energetica e produttiva. Regoleremo i termostati e pagheremo i rincari, oppure indosseremo un maglione in più. La società del benessere che presentavano come l’oasi più rigogliosa, si trasforma oggi in un deserto arido. In controtendenza, penso ad un uomo padrone del proprio destino; creativo, in grado di adattarsi alle pessime decisioni imposte dall’alto; e se possibile ribelle, desideroso di liberarsi dai diktat della società convenzionale. La soluzione arriva dagli antichi: acqua, aria, terra e fuoco. Quattro elementi, dosati e miscelati con cura, costituiscono da secoli una fonte di vita e di sostentamento. Miti antichissimi, risalenti ai popoli mesopotamici, narrano che il corpo umano traesse origine della terra impastata con l’acqua. Unito a quest’amalgama, lo spirito, a ravvivare la pura materia. Creato dagli dèi sulla ruota di un vasaio, l’uomo è un’opera artigianale in movimento, animata dal soffio vivente. Leggendo i miti antropogonici immagino un uomo di grande ingegno, dotato delle stesse capacità artigianali del demiurgo, visceralmente legato alla terra, elemento vivo, in grado di respirare con chi la modella. Questo è ciò che si avverte attingendo dal patrimonio architettonico in terra cruda. Con il bagaglio culturale delle costruzioni in terra, si tramandano i saperi dei vasai che, avendo la stessa manualità del demiurgo, trasformavano l’argilla in case abitabili. Edifici con impatto energetico pari a zero e dimenticati con l’avvento dell’edilizia moderna del secondo dopoguerra.
Per incontrare gli attuali demiurghi della terra, arrivo a Casalincontrada, in provincia di Chieti. Comunità di riferimento, in Abruzzo, per conoscere il mondo della terra cruda. Ad accogliermi, l’architetto Gianfranco Conti, presidente dell’Associazione Terrae onlus, e coordinatore del CED Terra. L’architetto Conti dice di essersi innamorato delle case di terra, perché, racconta: “Si comportano come i nostri polmoni, respirano l’aria calda, la purificano e la fanno diventare fresca. Durante l’inverno, in presenza di un camino acceso, l’aria fredda si scalda passando attraverso la massa di terra; in estate, il calore esterno è trattenuto dai muri e la temperatura all’interno si mantiene fresca. Queste case sono vive, perché il materiale è vivo”. Il suo interesse per l’edilizia in terra cruda nasce durante gli anni universitari, approfondendo gli studi sulle abitazioni rurali in Abruzzo.
Prima di giungere a destinazione percorriamo in macchina le colline di Casalincontrada, così posso ammirare le case di terra che caratterizzano il paesaggio. Perfettamente armonizzate con gli elementi naturali, queste costruzioni sembrano parte integrante del luogo. Sorgono discrete e sono silenziose portatrici di un sapere che sembra dimenticato, di tanto in tanto qualcuna, fa capolino tra le campagne. “La visita del luogo è una parte fondamentale nel processo di costruzione di un articolo – dice l’architetto Conti. – Le parole sono i suoi mattoni”. Osservo la natura circostante, e cogliendo lo stesso approccio architettonico, inizio a costruire il mio pezzo.
Abbandonando lo staticismo del sentimento nostalgico di chi auspica un ritorno al passato, mi chiedo allora se sia più giusto recuperare le vecchie costruzioni sparse sul territorio, o costruirne di nuove. “Dipende dalle esigenze di chi le abita. – spiega l’architetto Conti – È giusto recuperare le case di terra esistenti in Abruzzo, affinché entrino a far parte di un ciclo economico che sia abitativo e non soltanto turistico. Ma è ugualmente necessario pensare ad un’architettura contemporanea riutilizzando i materiali tradizionali”. L’idea di fondo che colgo dalle sue parole è che non possiamo pensare di tornare a vivere come in passato, quando la vita era segnata dalla miseria. Ma è auspicabile servirsi dell’ingegno degli antichi: utilizzare i materiali e le tecniche che si tramandano da secoli, assecondando una logica del proficuo, per vivere meglio l’oggi e affrontare una modernità galoppante, senza però esserne risucchiati.
Arriviamo a Borgocapo, “la grande madre”, laboratorio in cui si insegnano le tecniche della terra cruda; luogo di incontri e di sperimentazione. Dimensione bucolica, artistica e creativa, con grande carica ispirazionale. L’energia di Borgocapo arriva dagli uomini che la animano; nuovi protagonisti di una rivoluzione culturale e sociale. Gianfranco mette subito in funzione la molazza, inizia a raffinare la terra che più tardi verrà impastata con acqua e paglia. La montagna è lì, ad un passo, la molazza canta e con lei la campagna circostante. Così, immersa nel verde, e con le mani nella terra, sono pronta per un’intervista non convenzionale, una sorta di reportage esperienziale. La mia domanda è questa: è possibile pensare che una casa in terra cruda sia la soluzione reale per fronteggiare i costi elevati dell’energia; una casa che sia sufficientemente autonoma e che offra la possibilità di autosostentamento energetico, per potersi slegare dagli attuali ritmi incessanti della società?
Il primo a rispondermi è proprio l’architetto Conti, che trovando interessante il mio approccio, suggerisce di approfondire le ricerche di Francis Kéré, premio Nobel per l’architettura 2022. Noto per l’uso innovativo delle risorse locali, il suo design è volto a servire la comunità in cui è cresciuto. Mosso dal potere trasformativo della bellezza, anche di quella ottenuta con poche e umili risorse. Il suo approccio mira a invertire i paradigmi dei modelli insostenibili di produzione e consumo, interrogandosi sul significato di permanenza e durabilità della costruzione, in un contesto di continui mutamenti tecnologici. Con le sue opere mostra come l’architettura sia in grado di rispondere alle esigenze della comunità, mantenendo i canoni estetici dei popoli di tutto il mondo. Così l’elemento locale diventa una risorsa universale. Kéré ha dimostrato, cioè, che si può ottenere un’architettura estetica e funzionale partendo dalle caratteristiche migliori di uno specifico contesto geografico, generando prosperità sul territorio. Io trovo che nello studio moderno dell’architettura in terra cruda, l’intento dovrebbe essere lo stesso.
Il mio primo contatto con la terra è insieme ai dottorandi del Politecnico di Bari e al loro professore Nicola Parisi. È in corso il laboratorio “Self Made Architecture”; creiamo, con l’ausilio di stampi in plastica, icosaedri in terra cruda. I conci, mi spiega il professor Parisi, saranno utilizzati per la costruzione di una scultura che verrà posta all’interno del CED Terra. L’opera sarà progettata attraverso un algoritmo scritto su un software di modellazione. Il loro intento è quello di sperimentare l’utilizzo degli icosaedri in terra, oggi in ambito artistico, attraverso elementi di design, per impiegarli successivamente in ambito edilizio. Sentire tra le mani l’impasto di terra è rigenerante, un contatto diretto con la materia, percezione ancestrale. Poi penso più concretamente: la terra è sempre stata lì, sono io ad averla dimenticata, come spesso facciamo con le cose semplici di questo mondo.
Rivolgo la mia domanda a uno degli studenti, Angelo, che, rispetto all’edilizia in terra cruda, indica una lettura diversa dalla mia, molto meno idilliaca: “Io affronto il tema da ricercatore e da architetto ormai da tre anni, attraverso la tesi. Ora con una borsa di dottorato e prima ancora con una borsa di ricerca. Secondo me la narrazione che si fa di questo materiale non è del tutto corretta. È chiaro che questo materiale può essere una risorsa sicuramente più ecosostenibile rispetto ad altri, però non può competere con l’industrializzazione, non è ancora il momento. C’è sempre bisogno del settore economico dell’edilizia moderna. Non possiamo pensare di abitare tutti in case di terra. Sono due realtà che vanno integrate attraverso la ricerca su materiali e tecniche”.
La mattina prosegue, e ormai è ora di pranzo. A tavola, ho la fortuna di confrontarmi con il geometra Enrico Poggiali, ricercatore per la gestione dell’energia ed esperto di materiali e tecniche utilizzate in antichità. Lui mi offre tutto il suo sapere raccontandomi che, nonostante i nuovi corsi sul metodo CasaClima, sull’efficientamento energetico soprattutto nelle abitazioni moderne del nord Europa, continuava a ritenere impossibile che gli imperatori potessero soffrire il freddo d’inverno e il caldo in estate. “Nella storia è già tutto scritto” – mi spiega. Infatti, da presidente dell’Associazione Dimora Energia, favorisce la riscoperta delle antiche tecniche costruttive. E dallo studio dei siti archeologici, approfondisce l’uso di tecnologie che sembrano arcaiche, ma che in realtà offrono le soluzioni per la moderna bioarchitettura. Mi spiega che una casa, per essere funzionale dal punto di vista energetico, dovrebbe essere dotata di una stufa ad irraggiamento che consenta poi la ventilazione naturale, semplicemente aprendo le finestre; e un intonaco interno in terra cruda che assorba l’umidità presente nell’aria. La terra cruda, quindi, in presenza di un corpo caldo, consente accumulo di calore, isolamento e igroscopicità, favorendo la funzionalità energetica. Parlando con Enrico, scopro un amante conoscitore della cultura classica, tanto quanto lo sono io, poiché da essa, per ogni campo della vita, è possibile attingere un patrimonio culturale troppo spesso dimenticato. Ma senza cadere nella forzatura, mi spiega che l’atteggiamento più giusto, nell’edilizia come in ogni ambito applicativo, è quello di conciliare antico e moderno. Prendere ciò che di buono arriva dal passato e dal presente. Insomma, come insegnano gli antichi: In medio stat virtus.
Nel pomeriggio, poi, incontro Mara Paolini. Laureata in beni culturali, collabora con Gianfranco all’interno del CED Terra. Con lei affrontiamo il discorso dal punto di vista umano, condividendo il pensiero che l’utilizzo della terra cruda, costituisce di fatto una soluzione ingegnosa che esalta il potenziale creativo dell’uomo. Il patrimonio in terra cruda nobilita l’entroterra abruzzese, mantenendone i canoni paesaggistici e naturalistici; contribuisce, attraverso realtà come Borgocapo, a mantenere vivi luoghi troppo spesso soggetti allo spopolamento; aggrega le persone riavvalorando il senso di comunità umana. A questo proposito mi suggerisce anche la lettura di un libro: “Infinito restare” di Savino Monterisi. Io l’ho letto d’un fiato, nei giorni immediatamente successivi a questa trasferta, e lo consiglio a tutti, per me è un nuovo manifesto letterale per un’auspicabile rifioritura antropologica. Volendo offrire una prospettiva utile in merito al problema dei costi energetici, concordiamo sul fatto che le costruzioni in terra cruda hanno una fattibilità, un’applicabilità e un costo di messa in opera, minori rispetto a certe soluzioni che vengono oggi proposte come green o innovative dalle istituzioni. Al contrario, incentivi ed ecobonus non sono altro che un’ulteriore forma di sudditanza volta a generare un aumento del consumo energetico e di conseguenza di produzione. Si tratta di fatto di un circolo vizioso, da cui però è possibile uscire, servirebbe un risveglio generale delle coscienze. E se ascoltandoci avvertissimo un senso di malessere o di frustrazione, se ci sentissimo inadeguati rispetto a certe imposizioni sociali, a prevalere dovrebbe essere la volontà di stare bene, nel proprio territorio, nella propria casa. Non si tratta di adottare un atteggiamento anarchico, ma virtuoso, che riesca a coniugare il passato con la modernità, prendendo da ogni epoca il necessario per vivere dignitosamente.
Virginia Chiavaroli
Complimenti a Virginia Chiavaroni per il bell’articolo
Complimenti Virginia,una lettura molto piacevole nel susseguirsi degli argomenti.