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Gabriele d’Annunzio, il lussurioso delle tavole imbandite

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Gabriele d’Annunzio, il lussurioso delle tavole imbandite

Gabriele D’Annunzio una delle personalità più complesse e straordinarie della cultura e letteratura italiana. Uomo con spiccato senso del gusto, amore per l’arte e raffinatezza, cultore del bello e della conoscenza della sua straordinaria dimora, vero regno di bellezza, è ancora oggi uno scrigno di raffinatezza, gusto ed eleganza eccentrica. In particolare è da osservare la cucina un ambiente straordinario in cui traspare non solo il rapporto dell’illustre proprietario con il cibo ma, in senso più generale, con il mondo gastronomico e anche, non bisogna dimenticarlo, con la cuoca particolarità che caratterizzano il complesso legame tra questo importante intellettuale italiano e il mondo del cibo. I biglietti del Vate a “Suor Intingola”. Cibi, menù, desideri e inappetenze al Vittoriale Per quasi vent’anni Gabriele d’Annunzio comunicò con la sua cuoca per mezzo di una miriade di piccoli biglietti, inviati a ogni ora del giorno e della notte. .. Messaggi maliziosi, coloriti e affettuosi, indirizzati da d’Annunzio alla fedelissima Albina Lucarelli Becevello, alias “Suor Intingola”: l’unica donna con cui d’Annunzio visse in assoluta sintonia e castità messaggi che richiedevano in ogni momento della giornata, le sue imprevedibili richieste culinarie: il cibo «diventava fonte di piacere, di coinvolgimento emotivo, di seduzione e di bellezza culinaria. Era però un attento cultore delle tradizioni e dei sapori della sua terra, l’Abruzzo perché quello che conta in d’Annunzio è l’essenzialità storica della cucina abruzzese: una essenzialità fatta di calore umano, di ricordi di tempi lontani, di sentimenti, di affetti familiari, di nostalgia per il tempo perduto e non ritrovato. Il profumo del pane “che si spandeva dal forno di Flaiano”, “la zuppa rustica all’uso del paese, ricca di zenzero, colorita e odorante”, per lui questi elementi semplici, di una cucina realmente povera, rappresentano il pretesto per recuperare un rapporto lontano con la sua Terra e la sua gente L’EDONISMO del Vate si riscontrava anche nel suo modo di accogliere i suoi ospiti qui, alla sua tavola D’Annunzio aveva una forte passione per le frittate, ma poteva «accontentarsi anche di un uovo sodo, purché bollito senza sciatteria e servito su argenti e ceramiche raffinate». Nemmeno al desco, però, D’Annunzio dimentica di essere un esteta: «Al Vittoriale dispone di gioielli da tavola capaci di incantare i commensali, le ante degli armadi progettati per le stoviglie, che nessuno ha mai spostato dalla loro collocazione originaria gli splendidi bicchieri di vetro bianco di Murano, i servizi in argento per il dolce e per il pesce, i vassoi, le caffettiere, le porcellane da tè, due saliere con cigno e un’antipastiera a forma di libellula». Nella sala da pranzo nella quale accoglie i suoi ospiti, la Stanza della Cheli, è un trionfo di raffinatezze, preziosità, mirabilia, decorazioni ricercate: tutto è rimasto come allora: i pavoni in argento, le pietre preziose, il gusto déco del mobilio. Il Piacere, il romanzo con cui Gabriele D’Annunzio inaugura l’epoca del decadentismo ma anche dell’estetismo, e dove elogia il dessert come l’apice della cucina: Il “dessert “ l’apoteosi della gastronomia. D’Annunzio, a rigor di termini, più che un coniatore di parole ex novo è stato un rivisitatore della lingua italiana un filologo, nel senso più precisamente etimologico del termine, un amico della lingua. Parlando di rivisitazione linguistica grande merito di d’Annunzio è stato quello di rivitalizzare la lingua italiana, tra le altre cose, con sostanziose iniezioni di latinismi e di grecismi, fu un anche un linguista dall’innata creatività, inventore di neologismi, marchi e vocaboli entrati a far parte della vita quotidiana di milioni di italiani, che ancora oggi citano il Vate senza nemmeno rendersene conto ovvero ‘inventore‘ di parole mai esistite prima nel vocabolario italiano. Nato nel 1863 a Pescara, da agiata famiglia borghese, studiò in una delle scuole più aristocratiche del tempo. A soli 16 anni esordì con “Primo vere” un libretto in versi.

Maria Ragionieri

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