L’Italia al voto interrogandosi sul domani
L’era che stiamo vivendo, caratterizzata da uno sviluppo senza precedenti della tecnologia, porta con sé una grave minaccia per la natura umana: un’architettura globale di sorveglianza, ubiqua e sempre all’erta, osserva e indirizza il nostro stesso comportamento per fare gli interessi di pochissimi – coloro i quali dalla compravendita dei nostri dati personali e delle predizioni sui comportamenti futuri traggono enormi ricchezze e un potere sconfinato. È il “capitalismo della sorveglianza”, lo scenario alla base del nuovo ordine economico che sfrutta l’esperienza umana sotto forma di dati come materia prima per pratiche commerciali segrete e il movimento di potere che impone il proprio dominio sulla società sfidando la democrazia e mettendo a rischio la nostra stessa libertà. Imprescindibile per comprendere la nostra epoca, è l’incubo in cui è necessario immergersi per poter trovare la strada che ci conduca a un futuro più giusto – una strada difficile, complessa, in parte ancora sconosciuta ma si deve partire dal concetto di qual è il futuro dell’economia italiana e quanto sarà profondo il danno che la guerra in Ucraina apporterà alla ripresa e quale sarà l’impatto dell’emergenza energetica sulla transizione ecologica. Valutando i rischi per l’economia dopo le elezioni del 2022. Il ritratto vivido e profondo di un paese al bivio, una nazione travolta prima dalla pandemia e poi da una situazione geopolitica radicalmente mutata. L’Italia ha le abilità e i mezzi per riemergere più forte dopo anni di crisi, ora deve dimostrare di volerlo davvero. Il prezzo del futuro è una guida per evitare i pericoli e le trappole di un percorso accidentato e imboccare la strada giusta, ma anche per riflettere sul passato e cercare di non ripetere gli stessi errori. Gli scenari geopolitici mondiali sono al centro del dibattito e influenzano tutte le discussioni di politica internazionale. In questa più ampia e approfondita analisi quelle ipotesi vengono sviluppate affrontando anche i temi della proliferazione degli armamenti, dello sviluppo demografico e dell’emigrazione, della democrazia e dei diritti umani. Per lo studioso americano la storia non è affatto finita con il crollo del comunismo. Oggi, conclusa la Guerra fredda, gli esseri umani non si definiscono più in base all’ideologia o al sistema economico in cui operano, ma cercano di definire la loro identità in base alla propria lingua e religione, alle proprie tradizioni e costumi. Di conseguenza, la politica mondiale si sta riconfigurando secondo schemi culturali. Più precisamente, i «punti caldi» dello scacchiere internazionale si trovano tendenzialmente lungo le «linee di faglia» tra le diverse civiltà del pianeta. Nuove e profonde contrapposizioni lacerano il tessuto sociale delle società occidentali: grandi città contro province povere, élite altamente specializzate contro masse di lavoratori poco qualificati, paesi ricchi contro paesi poveri. Queste lacerazioni generano nuove ansie, nuova rabbia e nuove passioni politiche, come testimonia l’ondata di consensi ricevuti dai populisti di tutto il mondo. I percorsi attraverso i quali superare queste nuove fratture economiche, sociali e culturali il nuovo approccio ha un fondamento etico perché il capitalismo può essere salvato soltanto se saremo in grado di renderlo equo e compassionevole e non solo efficiente ed economicamente fiorente. Lo sviluppo economico portato dalla globalizzazione neoliberista, almeno dal 2001 in modo chiaro, si è orientato verso una scelta “militarista” di sviluppo del mercato globale delle armi, di un’economia del “warfare”, piuttosto che sulla riconversione ecologica, ovvero in base al fatto di ripensare l’intera economia a partire dai problemi, dalle questioni e dalle necessità che le urgenze della crisi ecologica sin dagli anni ‘70 del secolo scorso hanno posto drammaticamente all’ordine del giorno a livello globale e locale in tutta la storia del capitalismo, compreso il neoliberismo, e forse persino di più, gli Stati hanno sempre avuto un ruolo fondamentale. Per principio del domani lo Stato sociale non c’è più, la sanità è stata smantellata, tutto viene privatizzato, ma, come avviene sempre nel sistema concorrenziale capitalistico, c’è chi si è arricchito. Il capitalismo che storicamente è sempre riuscito a rivoluzionare sé stesso, in quanto profondamente plastico, anche grazie a delle rivoluzioni tecnologiche, data la situazione di disastro ecologico in cui ci troviamo, forse per la prima volta rischia di non fare in tempo a modificarsi e a riadattarsi. Dunque, un capitalismo da gestire e non da distruggere, in cui la dignità e la reciprocità prevalgano sull’aggressività, la paura e l’umiliazione e per questo ci dobbiamo liberare di gran parte del bagaglio intellettuale del XX secolo e dei suoi clichés e cominciare a pensare a strade completamente diverse, adatte ai nuovi orizzonti ai quali stiamo andando incontro il punto di riferimento regolativo dovrebbe essere l’eguaglianza, che è anche a fondamento della questione ecologica ossia uno Stato che limita la “libera concorrenza”, ossia la “guerra di tutti contro tutti”, e interviene per socializzare. I Media diffondono conformismo che non è l’eguaglianza. Sono due cose completamente diverse. Oggi viviamo di emozioni, ma abbiamo dimenticato le passioni. Queste sono fatte di emozioni, ma sono molto di più. Comportano il governo e la cura di noi stessi proprio mentre estrinsechiamo da noi parte di noi stessi, cioè mentre facciamo, creiamo, cerchiamo di costruire appunto, mentre subiamo la prosa del mondo, la poesia della vita. Gli eccessi della globalizzazione hanno causato incalcolabili sofferenze umane e degrado ambientale. Serve con urgenza un’alternativa pratica al capitalismo delle multinazionali e sradicare la povertà, migliorare la qualità della vita e rendere autosufficiente ogni regione del mondo, in armonia con la psicologia umana, la crisi del capitalismo globale ha lasciato campo libero alle forze arcaiche del razzismo, della misoginia e del più cieco nazionalismo autoritario. Il pianeta è febbricitante e quasi del tutto sepolto dalla sovrapproduzione di plastica e cemento. La Silicon Valley produce sempre più raffinati algoritmi che concretizzano l’incubo del controllo totale e sempre nuovi gadget che in breve realizzeranno la trasformazione dell’uomo in robot ma possiamo ancora reagire, possiamo riprendere il controllo delle nostre vite e del nostro futuro quindi stimolare i governanti a promulgare leggi che liberino il potenziale positivo delle nuove tecnologie, sono molte le cose che possiamo fare per tornare a essere soggetti attivi, e non passivi oggetti delle politiche mondiali. L’effetto di discontinuità impresso dalla grande crisi sulle istituzioni, sulla società, sull’economia e sui mercati è tale per cui solo i paesi e le imprese capaci di reinventarsi innovando sono in grado di sfruttare la crisi come leva di cambiamento politico-culturale e per un reset del modello di sviluppo dell’economia reale e del sistema delle imprese. Questo significa implementare riforme e politiche che creino fiducia nel futuro ed attivino il potenziale di energie, talenti ed eccellenze di cui l’Italia è ricca. Occorre uno sforzo collettivo di costruzione di un ambiente istituzionale e socio-economico adatto per un “nuovo capitalismo imprenditoriale”, capace di sfruttare le opportunità dell’era della conoscenza e della globalizzazione, facendo leva sulle grandi e medie imprese internazionalizzate.
Maria Ragionieri