Comunione d’intenti

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Il tocco in più che rende “gustosa” la convivialità

Un tempo si ripeteva questo adagio, non so quanto rispondente al vero: “a tavola non s’invecchia”.

Sappiamo, al contrario, che le libagioni, soprattutto se sono frequenti e a base di grassi animali, non solo generano invecchiamento, ma soprattutto causano disfunzioni e patologie che possono rivelarsi irreversibili.

C’è, invece, sicuramente il convivio inteso come socialità e clima gaudente, che se mancasse durante una cena o un pranzo, renderebbe il pasto davvero insipido e stomachevole.

Si narra che una volta il divino poeta Dante fosse stato invitato per partecipare ad un ricco e affollato banchetto.

L’autore della Divina Commedia vi si recò indossando l’abito che ordinariamente utilizzava e si sedette dove c’era posto. Il padrone di casa, occupato com’era ad accogliere gli ospiti, non fece caso alla importante persona che era venuta a rendergli omaggio e per un po’ Dante si trattenne. Poi si assentò per tornare di lì a poco con una tunica davvero splendida e sfarzosa. 

Il padrone di casa subito si accorse di lui e lo pregò di sedersi al suo fianco.

Fu a quel punto che Dante compì un gesto che suscitò sgomento in chi lo aveva invitato: prese i diversi vassoi di cibo che erano sul tavolo e cominciò a versarsi addosso il contenuto. Il padrone di casa rimase sbigottito e si rivolse al poeta con tutto il disagio possibile, dicendogli: “Ma…maestro! Cosa le sta venendo in mente?”

Dante, rimase imperturbabile e rispose: “Nulla di strano: quando sono arrivato all’inizio del banchetto, tu neppure mi hai notato…adesso che sono tornato con vesti sontuose, tu ti sei fatto prossimo a me e mi hai omaggiato. Allora, è bene che siano i vestiti a mangiare e non io!”

Mi pare davvero significativo quanto ha richiamato alla nostra attenzione il divino poeta, perché ha messo in evidenza che la convivialità rappresenta un insieme di elementi che vanno dal buon cibo e dal buon bere, ma non deve mancare il clima che deve instaurarsi tra i commensali e l’attenzione e l’apprezzamento che va riservato a chi siede al nostro fianco. Tutto questo dà quel tocco in più, tale da rendere “gustosa” la convivialità.

In fondo, il “gusto” per la vita è fatto di queste piccole ma importanti cose che, se mancano, rendono il nostro rapporto con l’altro, freddo, asettico, incolore.

Noi ci ricordiamo di un bell’invito a cena, non tanto elencando le pietanze che sono state preparate e distribuite, ma perché il clima scambievole era stato ben “apparecchiato” dal padrone di casa, perché era stato bravo ad aggiungere quei dettagli che poi erano stati loro i “piatti forti” (un violinista che suonava tra una portata e l’altra, una recita di poesie, una danza di ballerini che aprivano il convivio, ecc.).

Ernesto Albanello

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